Suonare News 0 1996
 

Gli strumenti dei Samurai
di Francesco Rampichini

Esteso su oltre 3 mila isole spesso sferzate da disastrosi tifoni, isolato dal resto del mondo per più di tre secoli – sino alla riapertura delle frontiere nel 1868 – l’arcipelago dell’Imperatore non è soltanto la seconda potenza industriale del mondo e la patria del sushi e del Fuji Yama, ma anche quella di un popolo che ha compiuto grandi sacrifici per rigenerarsi dopo gli olocausti atomici, sforzandosi di assimilare le forme dell’arte occidentale, reagendo ai valori tradizionali e tentando di recuperarli in una vivace dialettica culturale. Sbarcati all’aeroporto di Narita, raggiungiamo quello stupefacente insieme di città che è Tokyo. Qui le icone del nobile mondo dei samurai, la grazia senza tempo delle geishe o la lucida follia dei kamikaze, stridono con una realtà ipertecnologica, l’eleganza rigorosamente made in Italy delle donne e la calcolata noncuranza dei passanti. Visitando le maggiori scuole di musica della capitale, cerchiamo di scoprire come e quanto, nel sopravvivere della cultura antica, il presente si sia integrato nella tradizione europea attualmente dominante. Fra le più importanti c’è senz’altro la Musashino Academia Musicae. A gestione privata, come la quasi totalità di questi istituti, viene fondata nel 1929 da Naoaki Fukui – la cui famiglia ne resta saldamente alla guida – con l’intento di diffondere la cultura musicale occidentale in Giappone. «La scuola ha un motto: – dice Namiko Okai, insegnante di pianoforte e nostro cicerone in questa visita – purezza, proprietà, puntualità». Il che di occidentale ha ben poco. Diviso in diversi edifici dislocati nell’area di Tokyo, l’istituto comprende i campus di Iruma (300 aule sorvegliate da un busto di Verdi donato dal governo italiano), Ekoda, e il più recente Parnassos Tama. NEL CAMPUS DI EKODA Sede centrale è Ekoda, dove visitiamo l’importante museo di strumenti che conserva vere perle della tradizione occidentale (4000 pezzi) e orientale (1000 pezzi): una vera leccornia per l’organologo. L’ingresso è gratuito, ma non è consentito scattare fotografie. «L’amministrazione – mi spiega un responsabile – ha negato anche a reti televisive internazionali di effettuare riprese all’interno», e raramente colleghi della carta stampata hanno potuto sfogare i loro flash. In compenso mi è concesso di ‘rapinare’ (con il mio DAT) i suoni di alcuni splendidi litofoni della collezione orientale. Lasciato il museo entriamo nell’edificio principale che contiene strutture e servizi in perfetta efficienza. «Ecco i nostri auditorium» dice con orgoglio la mia guida, scortandomi attraverso sale da concerto di rara bellezza: la Beethoven Hall con un organo a 4140 canne – e una sezione frontale di canne in bambù! –, la Mozart Hall, 500 posti e un organo a 947 canne, la Naoaki Fukui Memorial Hall e la Bach Saal, questa con un organo a 4644 canne, 1202 posti a sedere e un palco capace di ospitare un’orchestra di 120 elementi e un grande coro. «Anche il Parnassos Tama, distaccamento ridotto con 12 aule – spiega Namiko – ha un museo di strumenti e la Schubert Hall con 274 posti». Alla cafeteria, davanti a una fumante tazza di tè verde, chiedo lumi sui costi. «La retta – mi informa la segretaria personale del direttore – è di circa due milioni di lire per il primo anno». Non poco, osservo. «Spesso le famiglie accendono “mutui di studio” per iscrivere i figli – continua – garantendogli però un lavoro praticamente certo, dato che del futuro dei laureati si occupa direttamente il nostro career office. È frequente, per esempio, che al termine degli studi un allievo diventi a sua volta insegnante alla Musashino: io stessa sono un’ex-allieva. «Le rette sono alte – mi spiegherà poi Michiko Yoshiike, insegnante di canto, pianista e cultrice della nostra lingua – ma corrispondono a un ottimo trattamento socio-economico dei docenti» per garantire la massima efficienza. Ekoda dispone di 200 aule insonorizzate e dotate ciascuna di due mezzacoda – rigorosamente Yamaha – perfetti e accordati come non sempre nei nostri conservatori. «Ogni anno invitiamo concertisti di fama internazionale a tenere concerti e master class», dice Namiko. Molti ospiti tedeschi, uno solo italiano: Katia Ricciarelli invitata nel ‘94. «Per i primi tre anni – continua – ogni disciplina prevede lo studio complementare di uno strumento della tradizione giapponese». Eccoci così nella classe di koto, lungo strumento a corde pizzicate che si suona in ginocchio, dove gli studenti mi descrivono caratteristiche, accordature e sistemi di notazione e sono invitati a suonare qualche brano del repertorio tradizionale. È la professoressa Okai ad intonare al pianoforte il notissimo canto originale per koto Sakura, oltre a melanconiche arie pentatoniche giapponesi, evocatrici dei fasti del passato imperiale. Riemerso da questo viaggio nel tempo, mi avvio all’enorme biblioteca che dispone di libri e partiture per ogni esigenza e conserva nella sezione Rare book, importanti manoscritti originali di Rameau, Bach, Beethoven e Schubert. Allo stesso piano è aperto anche un negozio dove gli studenti trovano tutto il necessario: carta da musica e matite, testi e metronomi. Girando per le classi si ha la misura dell’elevato standard e del rigore che si esige dagli studenti. E di una forse eccessiva uniformità tra allievi di insegnanti diversi (ascolto una stessa Sonata di Beethoven riprodotta in modo identico da tre pianisti). L’alterna tendenza al sovrapporsi e opporsi una all’altra di due culture può provocare una specie di “effetto Kulesov”, il grande cineasta dell’avanguardia russa che realizzò due montaggi diversi del volto inespressivo di un attore, concatenato prima all’immagine di un bambino cencioso, poi a quella di un bel piatto di minestra: gli spettatori credevano così di leggere sul volto dell’attore le espressioni violentemente opposte della compassione e della soddisfazione, secondo l’associazione indotta dal montaggio. Lasciato questo tempio della didattica, prendiamo il treno per Yokohama dove ci attende il simpatico docente di chitarra del Nihon University College of Art, il cui vasto Dipartimento di Arte, fra le molte discipline (Fotografia, Cinema, Belle Arti, Letteratura, Arti drammatiche, Danza, Broadcasting) include il Dipartimento di Musica. Formatosi in Germania come molti suoi connazionali – il legame con i vecchi alleati è ancora forte – dove tiene concerti tutti gli anni, Yoshinobu Hara, 46 anni, ha pubblicato ad oggi tre cd di musiche per chitarra ed è abbastanza noto in Giappone. «Prima di accedere ai corsi i ragazzi studiano privatamente – spiega Hara – per sostenere un esame d’ammissione piuttosto impegnativo in cui è già richiesta una buona conoscenza dello strumento scelto e del solfeggio. È questo un momento chiave della loro carriera scolastica». I corsi durano 4 anni a partire da un livello inferiore – più o meno un 4° o 5° anno dei nostri conservatori – e i costi sono meno elevati rispetto a scuole come la Musashino, poiché la Nihon è qualcosa di simile a un istituto pubblico. «Ogni sei mesi gli allievi devono suonare davanti a una apposita commissione – spiega Hara –. Programmi e repertori non sono rigidi come da voi, ma nell’arco dei 4 anni si configurano a discrezione del docente con una certa libertà e autonomia». Efficienza e disponibilità della struttura sono comunque altissime. All’esame di diploma, per esempio, che prevede per quasi tutti gli strumenti un Concerto per solo e orchestra, i candidati sostengono la prova con l’accompagnamento di un’orchestra. PIACERE PAVAROTTI: GRADISCE UN BIGLIETTO? Ma le differenze con la nostra realtà non si fermano, ovviamente, al piano dell’istruzione. La carriera del musicista è fatta anche di affitto in prorpio di sale, dell’obbligo di vendere un certo numero di biglietti dei concerti cui partecipa o dei propri recital, e, nei casi meno fortunati, del provvidenziale intervento di facoltosi sponsor quali banche o colossi dell’industria. Tokio e tutto il Giappone riservano, ovviamente, molte ragioni di interesse musicale: dai ritmi del taiko alle dimostrazioni date da monaci buddisti e scintoisti delle proprietà acustiche dei loro templi e shrine, dal kabuki e la musica tradizionale al Drum Museum con le sue percussioni a disposizione del pubblico. Ma qui la prua del vostro cronista deve virare a ovest. Per ora, Sayonara. BOX: Non solo chitarra Una visita alla redazione del mensile “Gendai Guitar” mostra come in questo settore intraprendere un’attività significhi occuparsi di tutta una serie di aspetti connessi. La palazzina sulla Yuraku-cho line, infatti, oltre al giornale annette un negozio con CD, musiche, libri, video (parte dei quali editi da “Gendai” stessa) e una propria scuola. «Al piano superiore abbiamo in costruzione anche un piccolo auditorium», mi dice il direttore Jun Sugawara. A due passi dalla stazione di Mejiro, sulla Yamanote Line, si trova poi il più antico negozio di chitarre di Tokyo: la Casa de la guitarra, fondata nel 1965 dal famoso liutaio Masaru Kohno. Sono esposti splendidi pezzi della liuteria mondiale: Hauser II del ‘67, Bouchet, Fleta, Rubio, Arcangel Fernández (si è scritto che Kohno studiò mesi con lui, in realtà Kohno stesso mi ha detto di averne solo visitato il laboratorio), Dionisio y Aguado, oltre al meglio della produzione giapponese: da Kohno a Sakurai (suo nipote), Chai, Hirose, Nobe, Kanoh, modelli vari (10 corde, cut-away), una scelta di liti rinascimentali e barocchi. E ancora: legni antichi, archi e cembali. Vasta la scelta di accessori e gadgets. All’ingresso una serie di ritratti fotografici di Llobet, Segovia, Yepes, Bream, Williams e Ghiglia a darvi il benvenuto. «Dica ai lettori italiani – chiede Takehiko Aoyagui, attuale proprietario – che possiamo spedire i nostri strumenti allo stesso prezzo praticato qui, con spese di imballaggio e spedizione interamente a nostro carico». Editore di un catalogo di musiche per chitarra con più di 100 titoli, Aoyagui è un vero intenditore, sua moglie Seiko Obara è chitarrista e figlia del famoso didatta Yasumasa Obara, e un commesso della Casa de la Guitarra si è perfezionato con Alberto Ponce a Parigi. Competenza al servizio del cliente.

 

 

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