Suonare News 0 1999
 

Quel testardo di mio padre
di Ennio Speranza

«Sembrerà strano, ma l’unica maniera di rispettare le volontà di mio padre sembra quella di far uscire queste registrazioni con l’aiuto di una casa discografica seria e competente, così da mettere fine alla circolazione di registrazioni pirata di infima qualità che non solo hanno svilito l’attività di mio padre, contravvenendo a una sua esplicita scelta, ma hanno portato guadagni non autorizzati a chi sfrutta la fama e la fatica altrui. Nessuno ci ha mai chiesto il permesso di pubblicare niente, eppure nei negozi di dischi girano pessime registrazioni – spesso incise durante le prove – che con l’arte di mio padre nulla hanno a che fare. Per lo meno, in questo modo, abbiamo un controllo certo sul materiale e sulla qualità delle riproduzioni». Chi parla è Serge Ioan Celibidache, figlio trentenne di uno dei più straordinari direttori del secolo, scomparso ormai tre anni fa, dal carattere a dir poco vulcanico e, come tutti sanno, nemico giurato della riproduzione sonora (era arrivato a sostenere che il disco era merda e che l’ascolto del disco equivale a baciare una donna morta!). La commercializzazione di registrazioni “ufficiali” di Celibidache poteva avvenire solo post-mortem anche se negli ultimi anni la tecnica di ripresa del suono si è affinata a tal punto che prima o poi avrebbe convinto il grande direttore. O forse no. «Mio padre non sarebbe mai stato d’accordo, lo so, lui diceva che il disco non era musica – e in parte lo penso anch’io – ma tra non molto sarebbero scaduti i diritti e noi della famiglia non volevamo lasciare ad altri lo sfruttamento di questi nastri. Il disco è una fotografia, è l’immagine di una persona in carne e ossa ma non è la persona viva: una registrazione non è la musica suonata, ma è un documento parziale di qualcosa che è accaduto, o che è stato costruito: nel caso dei Cd dedicati a mio padre le riprese sono assolutamente dal vivo e senza ritocchi. Ci tengo a precisare che a noi non arriverà in tasca nulla: utilizzeremo i soldi ottenuti con la vendita dei dischi per attivare due fondazioni. La prima, una Celibidache Foundation, fornirà borse di studio e di perfezionamento ai giovani artisti e li aiuterà a sviluppare un contatto vivo con la musica attraverso concerti e performance dal vivo, cercando di continuare quel lavoro svolto da mio padre con i suoi allievi. Avrà sede probabilmente in Germania, un paese che ha dato molto a mio padre: lì vorrei anche creare un museo, a Monaco o a Stoccarda, per riporvi materiale dedicato a mio padre, filmati, documenti, partiture, eccetera. La seconda fondazione, S.C. Help, avrà carattere umanitario e si occuperà di problemi che ci stanno molto a cuore come agli orfanotrofi romeni o la causa del Tibet». Serge ha trent’anni, è nato a Parigi, ha studiato drammaturgia alla Bloomington University, vive a Londra e fa il regista cinematografico. Il suo primo film, Il giardino di Celibidache, del 1996, è una specie di ritratto poetico del padre, girato nel giardino della sua residenza in un mulino vicino a Parigi, un documentario che mostra il lato più dolce e affettuoso del burbero direttore, alle prese con la terra, gli animali, i suoi allievi, la natura, i discorsi sulla musica, sulla religione, sulla filosofia. Dopo questo omaggio in un certo senso doveroso – anche psicologicamente – il figlio di Celibidache ha in progetto una fiction da girare in Romania, Crossing the Line, una sorta di commedia road-movie che esplorerà lati poco conosciuti del suo paese d’origine. Serge è un giovane alla mano, dai modi semplici. Parla diverse lingue e condisce il suo anglo-italiano con qualche parola di spagnolo. Come faceva il padre. E al padre somiglia in maniera imbarazzante, cosa che, ci confida, gli ha causato non pochi problemi. «Non faccio il musicista per diversi motivi, il primo dei quali è quello che quando hai un padre così è difficile pensare di intraprendere la stessa strada. Meglio pensare ad altro. Certo, amo la musica, suono il pianoforte, talvolta lo suonavamo insieme, ci lasciavamo andare a divertenti improvvisazioni jazzistiche, lui era bravissimo anche in questo…». Celibidache come Bill Evans o Lennie Tristano? Da non credere… «Spesso però, quando lui entrava nella mia stanza, smettevo di suonare». Provate a dare torto al povero Serge. La Deutsche Grammophon non è arrivata prima nella corsa all’acquisto di registrazioni ufficiali del maestro romeno: precedentemente la Emi, sempre con il consenso della famiglia, aveva fatto uscire due cofanetti, uno di composizioni varie e il secondo interamente dedicato a Bruckner, autore prediletto degli ultimi anni di vita, anche se Serge ribadisce: «Il fatto che mio padre avesse una specifica predilezione per Bruckner lo affermavano i critici, ma a me non risulta. Lo amava, ma non più di altri compositori, non più di Brahms». E l’esempio è portato ad arte, visto che questo primo cofanetto targato etichetta gialla contiene le quattro sinfonie del compositore amburghese – più un elettrizzante CD bonus con le prove della Quarta – eseguite con l’Orchestra Sinfonica della Radio di Stoccarda durante gli anni Settanta. È il primo di una serie di sessanta CD che usciranno nell'arco di cinque anni, contenenti esecuzioni con diverse orchestre tra cui quella della Rai, gli amati-odiati Berliner, la Filarmonica di Monaco, le orchestre della radio svedese e danese e alcuni solisti di spicco come Benedetti Michelangeli, Menhuin, Baremboim. A questa uscita seguirà fra alcuni mesi un cofanetto di tre CD dedicato ai russi, e per la fine dell’anno, sono previste novità straussiane e francesi. E la Emi che dice? «La Emi ha pubblicato registrazioni ufficiali dell’ultimo periodo, quello passato con la Filarmonica di Monaco, mentre con la Deutsche Grammophon abbiamo concordato un progetto più ampio e, per così dire, “storico”, che spazia dagli anni Quaranta sino agli Ottanta…». Risposta diplomatica, ovviamente, anche se sotto traccia devono esserci state un bel po’ di battaglie per ottenere tali preziosi documenti sonori. Anche se, con la crisi del disco, quelle come la Celibidache Edition ci sembrano soprattutto operazioni di immagine, di puro lustro culturale: a meno che i CD non vengano venduti separatamente, difficile che l’appassionato medio possa acquistare opere così corpose e, quindi, costose. Anche se vale sinceramente la pena rifarsi le orecchie con le interpretazioni di Celi: in un’epoca di sempre maggiore velocità, in cui si suona dopo un numero sempre minore di prove e si aspetta (o ci si inventa) la star di turno o il tenore indeciso tra la canzonetta e la cabaletta, la passione con cui il direttore romeno pensa, dirige e lascia che la musica respiri è una boccata d’aria fresca. Serge, sul padre musicista, dice una cosa di indubbia verità: «Ciò che sento nelle sue interpretazioni, ma che era presente anche nel suo carattere di uomo, è una armonica e straordinaria combinazione tra la precisione tedesca e un generoso temperamento latino. Mio padre, pur essendo romeno sino al midollo, ha avuto una formazione essenzialmente tedesca e ha ritenuto sempre la Germania uno dei suoi Paesi di riferimento. La combinazione di questi due universi culturali lo ha reso veramente speciale. Non ha avuto patrie giuridiche, ma solo patrie culturali e più di una. Questo è stato, secondo me, un gran bene.» Ma com’era Sergiu Celibidache come padre? «Era una persona fantastica e aveva, come tutti, i suoi alti e bassi: il fatto è che i suoi alti erano meravigliosi. Non era facile vivere accanto a lui, ma ogni giorno era una vera e propria esperienza. Lui amava il contatto con la natura, era buddista, mi ha trasmesso questo immenso amore per gli organismi viventi. Anch’io sono buddista, e non l’ho fatto per emulazione, mi è bastato semplicemente osservare il suo comportamento, la sua attitudine nei confronti del mondo. Era capace di mettersi ad ascoltare per ore gli uccelli che cantavano, aveva una attenzione tutta particolare per i dettagli e le piccole cose: questo si ritrova anche nelle sue interpretazioni musicali, in cui niente è lasciato al caso durante le prove, ogni nota è pensata in funzione della precedente e della seguente, ma poi tutto fluisce liberamente e quasi spontaneamente in concerto. Attenzione però, non lo voglio santificare: era anche capace di ruvidezze, di essere sincero sino all’offesa, alle volte era intrattabile e testardo. Era un padre molto esigente: mi diceva che non aveva importanza che cosa si fa, musicista, regista, calciatore, cuoco, ma che bisogna metterci sempre anima e corpo, dare il massimo, con lui non si potevano fare le cose a metà. A proposito, era un grande appassionato di calcio e sapeva anche cucinare». Serge parla con autentico amore di Sergiu, porta con orgoglio un grande bracciale d’oro che ci sembra di aver scorto nelle ultime foto del padre, e ha speso molte energie per fare i conti con l’ingombrante figura: le idee però, per lo meno ora, sembrano chiare e risolute. «Per quanto riguarda le due associazioni, soprattutto la Fondazione, vorrei dire un’ultima cosa: non passerò il tempo in giro a glorificare la figura di mio padre: non ne ha bisogno. Ci saranno altre persone, più qualificate di me, a mettere in ordine il materiale da lui lasciato – tra cui anche composizioni proprie, vi assicuro, piuttosto interessanti: io, come il resto della famiglia, farò da supervisore e basta, mi assicurerò che le cose si svolgano al meglio. Per il resto non voglio fare la parte dei figli che passano la vita all’ombra dei genitori o, peggio, nel tentare di emularli. Io sono Serge e faccio altro!».

 

 

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