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Ricomincio da Vivaldi
di Filippo Michelangeli

Sony, il colosso giapponese dell'elettronica proprietario dell'omonima etichetta "Classical" riparte da Vivaldi. E per rilanciare i CD nipponici in vetta alle classifiche internazionali sceglie un gruppo italiano. Il giovane presidente Peter Gelb ha appena firmato un accordo in esclusiva con il violinista Giuliano Carmignola e la Venice Baroque Orchestra diretta da Andrea Marcon. Il primo CD con l'ensemble veneto comprende – c'era da immaginarselo – Le Quattro stagioni di Vivaldi e tre concerti per violino e orchestra del Prete rosso. E proprio a Venezia, durante la presentazione del nuovo album, incontriamo il violinista trevigiano Giuliano Carmignola. A 48 anni lei ha già vissuto molte vite: solista, camerista, spalla alla Fenice di Venezia, docente di conservatorio. A tutto questo ora aggiunge la collaborazione con la Venice Baroque Orchestra... Sì. Questa nuova esperienza nasce dalla profonda amicizia e dalla grnde stima che da anni mi lega a Marcon. Ho cominciato a suonare il barocco alla fine degli anni Ottanta, quasi per gioco. All'inizio è stato proprio Marcon, con affettuosa insistenza, ad appassionarmi a questo repertorio, facendomi studiare partiture e trattati di prassi esecutiva dell'epoca. Non mi ritengo uno studioso specialista. Sono un violinista con molte curiosità. Lei aveva già molte possibilità di suonare musica barocca, che cosa le offre in più la Vbo (Venice Baroque Ensemble)? È vero. Vivaldi lo suonavo anche prima, ma nella Vbo ho trovato degli ottimi colleghi e ho potuto registrare pezzi nuovi, come i nove Concerti dei CD Sony: per me è uno stimolo importante. Quando è iniziata la sua attività? Abbastanza tardi, all'inizio degli anni Settanta, con i Virtuosi di Roma di Renato Fasano: furono i primi nel dopoguerra a portare Vivaldi nel mondo. Presi il ruolo di Luigi Ferro, che era stato insegnante a Venezia ed era l'interprete più autorevole della musica veneta. Pensi che dopo averlo ascoltato in un concerto con i Virtuosi, il grande virtuoso David Oistrach gli disse: «Non riuscirei mai a suonare le Stagioni come lei». Per me fu un onore trovarmi a proseguire la grande tradizione violinistica veneta. Ma la sua carriera sembra essersi interrotta negli anni Ottanta. Avevo rinunciato alla carriera: quando, alla morte di Fasano, il complesso si sciolse, entrai in crisi. Non volevo andare in giro per il mondo, volevo una famiglia: oggi ho quattro figli. Sono musicisti? Ho insistito perché studiassero musica, non per alimentare ambizioni carrieristiche, ma per il loro arricchimento culturale e spirituale. Purtroppo con i più grandi – Anna, Paolo e Chiara – non ho avuto successo. L'ultima speranza la affido a Francesca, la più piccola, che ha ancora 4 anni. Come viveva in quegli anni? Mi offrirono subito un posto in Conservatorio: il primo anno insegnai come supplente a Castelfranco Veneto. Ho inziato molto presto, tanto che sono andato in pensione dieci anni fa con 20 anni di insegnamento. Ogni tanto suonavo alla Fenice. Mi facevano scegliere i programmi. Ho fatto le Sinfonie di Mahler con Imbal, quelle di Mozart con Maag. Era una situazione di privilegio. Sono stati anni tranquilli, durante i quali ho imparato molto. Quando sono cambiate le cose? C'è stato un incontro importante, con il violoncellista Mario Brunello. Mi ha proposto di lavorare insieme: abbiamo iniziato con il Concerto di Brahms, poi abbiamo fatto il Triplo di Beethoven con l'Orchestra da camera di Mantova diretta da Umberto Benedetti Michelangeli, che è stato anche registrato in video. Ma l'evento decisivo è stato un altro: in quel periodo è mancato mio padre Antonio, che era violinista, dilettante ma di ottimo livello. Non me lo fece mai pesare, ma sapevo che soffriva per la mia rinuncia all'attività solistica e concertistica. Alla sua morte in me è scattato qualcosa. Sentivo la sua presenza, che mi spingeva a buttarmi nella musica. Era ora di dargli le soddisfazioni che si aspettava da me e che non aveva mai avuto. È stata una sfida. Come è stato l'inizio di questa ripresa? Avevo già 32 anni, e fu faticoso. Nel 1990 sono arrivati i Suonatori della Gioisa Marca e con loro ho trovato un equilibrio. Adesso le cose sono un po' cambiate e il futuro è ancora tutto da definire. Per esempio, avevo lasciato da anni l'insegnamento, e ora mi è tornato il desiderio di trasmettere la mia esperienza ai giovani. Dopo aver tenuto una masterclass, mi è stata affidata una cattedra al Conservatorio di Lucerna. E quest'anno ho cominciato a insegnare all'Accademia Chigiana di Siena. Ascoltandola si ha l'impressione di una grande facilità tecnica: quanto studia? Se si guarda al numero di ore, non ho mai studiato tanto, ma credo di avere un buona capacità di concentrazione. Non credo alla necessità di impugnare l'archetto otto ore al giorno, salvo periodi particolarmente intensi o quando si preparano pezzi nuovi. Il contratto con la Sony è un lancio importante. Per un artista italiano è l’occasione della vita... Sono contento di poter registrare per una casa discografica prestigiosa come la Sony. Ma non sono mai stato un carrierista. Vivo con un certo imbarazzo gli effetti di questa improvvisa notorietà e aspetto di vedere che cosa mi riserva il futuro. Box 1 Incontro con Andrea Marcon Venezia, Europa Andrea Marcon, 37 anni, è la mente della Venice Baroque Orchestra. Cembalista, organista, direttore d'orchestra, profondo conoscitore della prassi esecutiva antica, Marcon è già noto al pubblico per aver fondato 15 anni fa i Sonatori della Gioiosa Marca. Perché avete scelto un nome internazionale, invece di sfruttare la provenienza italiana del gruppo, che per il vostro repertorio è un buon avviamento? L'abbiamo deciso insieme alla Sony. Da un punto di vista commerciale funziona meglio. E poi si può anche dire Orchestra Barocca di Venezia. Oppure tradurlo facilmente in francese e in tedesco. Ci sono punti di contatto con gli altri ensemble veneti che suonano musica barocca? Sì. Infatti qualche anno fa abbiamo registrato un disco con i Sonatori della Gioiosa Marca per una piccola casa discografica, la svizzera Divox, di cui sono tuttora consulente artistico. E Giuliano Carmignola, ad esempio, essendo solista, suona sia con loro sia con noi. Quando è nata la Vbo? Nel 1997 a Venezia. È stata una mia iniziativa, quando ho concluso la mia collaborazione con i “Sonatori”. Mi è costato molto decidere di interromperla: ero stato tra i fondatori e ne ho fatto parte per 17 anni. Ma le mie attività parallele, come solista all'organo e al cembalo, e poi come docente, non mi lasciavano tempo a sufficienza. Perché, dopo aver lasciato un ensemble barocco ha deciso di fondarne un altro? È stato un fortunato imprevisto. Due settimane dopo che smisi di suonare con la Gioiosa Marca, sono stato invitato da Mario Messinis, sovrintendente della Fenice, a dirigere un'opera di Cavalli, l'Orione, in prima assoluta. Sentii che era l'occasione per creare un nuovo ensemble, con cui affrontare un ampio repertorio, comprese le opere, che invece i Sonatori, anche per limiti di organico (sette, otto persone), non potevano eseguire. In tre anni, oltre all'Orione di Cavalli, la Vbo ha eseguito il Tito Mario di Vivaldi, il Trionfo della Poesia e della musica di Benedetto Marcello e in dicembre faremo il Ciro re di Persia di Händel, sempre per la Fenice di Venezia. Sono tutte opere presentate in prima esecuzione moderna. Chi sono le prime parti? Sono musicisti che si conoscono da più di dieci anni: hanno studiato insieme al Conservatorio di Venezia e alcuni sono stati allievi di Carmignola. Le prime parti sono fisse: Luca Mares, violino, Giuseppe Cabrio, violino, Alessandra Di Vincenzo, viola, Francesco Galligioni, violoncello e Alessandro Sbrogiò, violone, Ivano Zanenghi, liuto. Questo è il nucleo storico: suonavano già insieme da due anni prima del mio arrivo, come Accademia di San Rocco, uno dei gruppi di musica da camera storici di Venezia. Quando ci siamo conosciuti, anche loro volevano fare cose nuove. Di orchestre barocche in Italia non ce ne sono molte. L'obiettivo era di crearne una a pianta più o meno stabile: in tre anni abbiamo avuto al massimo 12 o 13 violinisti diversi. È importante lavorare sempre con le stesse persone per creare un suono personale e originale. Che cosa prevede il contratto con la Sony? È un'esclusiva di tre anni per cinque produzioni. È già uscito il primo CD, con le Quattro Stagioni e tre Concerti di Vivaldi mai registrati. Gli altri dischi conterranno sei Concerti di Vivaldi, i Concerti per violino e per violoncello di Tartini, l'oratorio Il Trionfo della musica e della poesia di Marcello e i Concerti di Locatelli. Al violino, come sempre, c'è Carmignola. Box 2 Libero ed elegante Vivaldi: Le quattro stagioni, Concerti per violino RV 257, 376 e 211 Giuliano Carmignola (violino); Venice Baroque Orchestra, Andrea Marcon (direttore). CD Sony classical (distr. diretta) 2000 72’ DDD Un solo rimpianto, per questo felicissimo battesimo: l’insipida e generica dicitura anglofila imposta (scommettiamo) dalla Sony all’italianissimo gruppo strumentale. Tutto il resto funziona. Fa piacere che a oltre mezzo secolo dal boom discografico-vivaldiano dei Musici (Philips), a trent’anni dall’inizio dell’avventura infinita delle infinite facce dei Solisti Veneti (Erato), a pochi anni dalla sontuosa posizione internazionale guadagnata dal Giardino Armonico (Teldec) e dell’Europa Galante (Opus 111), siano ancora una volta lo scrigno inesauribile delle Quattro stagioni e l’anima mercuriale di Vivaldi (complice l’interessamento di un colossso discografico mondiale) a portare in primo piano il lavoro musicale di scuola italiana. L’esecuzione di Carmignola, più libera e creativa anche rispetto a quella (già ammirevole) realizzata nel 1994 con i Sonatori de la Gioiosa Marca, mi pare rappresenti la sintesi più riuscita di vent’anni di lavoro filologico sempre più ispirato sul testo incendiario delle Stagioni. Chi ha amato in tempi che paiono giurassici le prime versioni in vinile con strumenti antichi ma anche l’insuperabile lettura classica di Franco Gulli, non può che riconoscere i tratti migliori di entrambe le impostazioni nell’estrosa versione Carmignola-Marcon. C’è capriccio ma anche strumentalità linda ed elegantissima, gusto per la sorpresa ma soprattutto concentrazione espressiva e meravigliosa comunicativa. Strabilia l’immaginazione vivaldiana, la sua capacità di ricreare ogni volta rinnovandolo dalle radici il neonato modello concertistico, ma dà un’impressione ancora più piena riconoscere negli interpreti di oggi l’intatta voglia di prolungare il "cimento" nell’invenzione esecutiva. Come racconta l’impostazione degli altri tre Concerti, tutti inediti per il disco (e l’ultimo, in Re maggiore, è un pezzo notevole) a Carmignola e Marcon interessa al di là del dato virtuosistico-strumentale e formale, l’applicazione di una "retorica degli affetti" di derivazione teatral-melodrammatica che il mondo tenero e narrativo di questi Concerti autorizza, anzi impone. Come dato stilistico unico, al quale si sacrificano (con la coscienza a posto) le componenti linguistiche, che farebbero di Vivaldi quel che non è: un qualsiasi autore del suo tempo. (Angelo Foletto)

 

 

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