Suonare News 0 1996
 

Violinisti si nasce
di Filippo Michelangeli

A soli 3 anni, mentre i suoi compagni giocavano ancora con soldatini, il piccolo Salvatore suonava già il violino. Glielo aveva regalato il padre, un incisore di cammei appassionato di musica, pensando che un giorno gli sarebbe servito a qualcosa. Da allora il giovane Accardo ne ha fatta di strada. A 13 anni è già un virtuoso, a 15 vince il primo premio al Concorso di Ginevra e l’anno dopo fa il bis al Concorso “Paganini” di Genova. Ha tenuto concerti in ogni angolo del pianeta e inciso dischi per la Deutsche Grammophon, Philips, Fonit Cetra, Emi. Possiede due preziosi Stradivari e una collezione di 15 violini moderni. Nel 1982 è stato insignito dal Presidente della Repubblica dell’Ordine di Cavaliere di Gran Croce. A 55 anni Salvatore Accardo è ancora uno dei protagonisti della scena violinistica internazionale. Un giorno ha detto di credere nella reincarnazione e di spiegare soltanto così la sua straordinaria precocità musicale. Che cosa intendeva dire? Io so quanto sia difficile suonare il violino. Eppure la mia carriera violinistica è incominciata molto presto, avevo appena 3 anni quando chiesi a mio padre di comperarmi un violino. All’epoca abitavamo a Torre del Greco, a una decina di chilometri da Napoli. Una mattina – lo ricordo come fosse adesso – svegliandomi vidi ai piedi del letto un astuccio nero. Lo aprii, presi il violino e iniziai a suonare. Feci Lilì Marlen, un motivo che all’epoca andava di moda. Poi, a orecchio, alcune canzoni napoletane. Mi sembrava una cosa naturale e mi meravigliavo che gli altri si meravigliassero che ero in grado di farlo. Mia madre urlava per casa: «Salvatore suona, Salvatore suona!». Crescendo mi sono reso conto della mia straordinaria precocità e l’unica spiegazione che ho trovato è stata pensare che evidentemente in un’altra vita lo sapevo già fare. Le sarà capitato di parlarne con i suoi colleghi violinisti, a qualcuno è successo qualcosa di simile? Beh, ricordo che una volta ne parlai con Nathan Milstein con il quale ho studiato all’Accademia Chigia-na di Siena e anche lui mi confessò di aver suonato subito, sin da bambino. Due anni fa, con Uto Ughi, ha tenuto un concerto in favore della Bosnia, smentendo una vostra presunta rivalità. Che rapporto ha con lui, vi sentite mai per telefono? Uto è molto difficile da trovare, ha un recapito a Roma, ma c’è sempre una segreteria telefonica. Ci incontriamo molto spesso negli aereporti. A volte ci sono delle scene allucinanti perchè Ughi parla sempre dello strumento, allora devo aprire il mio astuccio, a lui interessa soprattutto il contatto con il violino. Fin da bambino è sempre stato interessato alle differenze che esistono tra gli Stradivari e i Guarneri, se suonasse meglio uno o l’altro. Poi parliamo spesso di politica. È possibile conciliare l’arte con la quotidianità della vita? Diciamo che spesso le due cose si sovrappongono. Non fosse altro per la necessità di lavorare con le istituzioni, le scuole musicali, i teatri. Di recente ha duramente criticato la qualità dei conservatori italiani, auspicandone addirittura la chiusura. Non lo sembra di aver esagerato? No, ho anche ricevuto una querela per quanto ho detto, poi il magistrato quando l’ha letta si è messo a ridere. Il problema è che i conservatori sono davvero messi male. Ci sono degli insegnanti molto bravi, ma ci sono anche degli incapaci. Non trovo giusto che il nostro sistema permetta loro di insegnare; in questo modo si rovina anche il lavoro di coloro che, al contrario, hanno delle grandi qualità. Ascoltando queste considerazioni ci si aspetterebbe di vedere anche Salvatore Accardo docente in conservatorio, come mai non è così? Per molte ragioni, alcuni miei colleghi insegnavano in conservatorio e ne sono scappati. Per fare qualche nome: Bruno Canino, Bruno Giuranna e Franco Petracchi. Perchè? I programmi sono vecchi e se non hai un insegnante intelligente che è in grado di integrarli rischi di diplomarti senza conoscere la grande musica per violino come le sonate di Mozart, Schubert, Brahms, e così via. Lei ha studiato per alcuni anni in Chigiana che ambiente c’era? Parliamo della seconda metà degli anni Cinquanta. A Siena insegnavano per due mesi consecutivi musicisti come Pablo Casals, Alfred Cortot, Andrés Segovia, Sergiu Celibi-dache, Nathan Milstein, Yvonne Astruc, André Navarra, Gaspar Cassadò, Guido Agosti. C’era un’atmosfera magica: irripetibile. Come si svolgevano le lezioni di Milstein? Erano delle masterclass; tutti ascoltavano tutti. Di solito eravamo una decina di effettivi con una trentina di uditori. Un ricordo di Milstein Ci diceva sempre di suonare senza voler dimostrare quanto fossimo bravi, ma soprattutto quanto la musica fosse bella. E voi giovani ‘leoni’ del violino come reagivate ad un consiglio così saggio, ma che in un certo senso conteneva la vostra euforia? Dipendeva dalle nostre personalità. Alcuni accettavano volentieri, altri no. Dal punto di vista tecnico però Milstein aveva delle diteggiature assolutamente geniali, che ancora oggi uso e insegno ai miei allievi. Penso, per esempio, ad alcuni Capricci di Paganini. Io, comunque, devo molto anche ad Arturo Benedetti Michelangeli. Quando l’ha conosciuto? Negli anni Sessanta suonavo con un suo allievo, Ludovico Lessona, forse l’unico ‘vero’ allievo di Benedetti Michelangeli. Poi, purtroppo, Lessona è morto nel ‘72 in un incidente aereo in Bulgaria. In quegli anni la Fiat aveva messo a disposizione del Maestro un castello a Moncalieri, con dei pianoforti perché potesse insegnare. Erano venuti tanti pianisti come Marta Argerich e Maurizio Pollini. Con Ludovico andavamo a fargli sentire il nostro programma. Prima di tutto Michelangeli conosceva il repertorio per violino meglio di qualsiasi violinista. In quel periodo suonavamo la prima Sonata di Beethoven, la prima Sonata di Schumann, la seconda Sonata di Brahms, le sonate di Debussy e Ravel, la seconda sonata di Prokoviev. Al termine della sonata di Schumann, c’è uno specie di moto perpetuo e io lo eseguivo come tutti: ‘saltellato’. Michelan-geli mi disse: «Non è così; è ‘alla corda’. Risposi: «Maestro, non riesco a farlo ‘alla corda’ a questa velocità». «Ecco – continuò – vuol dire che non è la sua velocità, in ogni brano c’è un punto chiave che determina la velocità di esecuzione». Ricordo che spesso si metteva al pianoforte e, a memoria, spiegava a Lessona come dovesse suonare. Una volta suonavamo la Sonata di Ravel che nel secondo tempo ha un blues con un glissando affidato prima al violino e poi al pianoforte. Soltanto che il pianoforte non può, ovviamente, fare il glissando. Eppure lui aveva escogitato una pedalizzazione particolare e l’effetto era impressionante, non ho mai sentito una cosa più bella. La lezione finiva sempre verso le nove, poi si andava a cena insieme e di nuovo tutti al castello. E Michelangeli si metteva al pianoforte. Gli ho sentito suonare un centinaio di Sonate di Scarlatti, una sera fece tre concerti di Rachmaninov senza battere ciglio. Era un nottambulo, suonava anche fino alle tre del mattino. Come finirono i corsi di Benedetti Michelangeli? Intanto lui non era un tipo da resistere molto tempo nello stesso posto. Nel frattempo vennero fuori i problemi con la casa di pianoforti che tutti sanno e così andò via dall’Italia. Lei ha detto più volte di non essersi mai sentito un enfante prodige, eppure a 13 anni era già un concertista professionista... Il fatto è che ho iniziato a 3 anni e dopo 10 anni di studio ho fatto i primi concerti. Un curriculum precoce, ma regolare. A 4 anni non suonavo ancora Paganini. Che cosa dicevano i suoi compagni? Fino a 33 anni ho vissuto a Torre del Greco e giocavo con i miei compagni a biliardo o a pallone. Qualche volta mi chiedevano di suonare, ma a molti non interessava granché del mio violino. Ci dica la verità: la sua prima ragazza l’ha conquistata con la musica? Non credo e se l’ho fatto è stato incosciamente. Lo sa che il violino e la chitarra sono strumenti ad alto potenziale seduttivo nei confronti delle donne... Anche il violoncello, pare anzi che il violoncello lo sia ancora di più. Mi dicono che una corda quando vibra tocchi certi punti... Chi gliel’ha confessato? Rocco Filippini (risate)! Lei per anni è stato identificato con Paganini, che cos’è per lei il virtuosismo? È la possibilità di mettersi al servizio della musica. Puoi essere il più grande musicista del mondo ma se non hai tecnica non viene fuori niente. Certo ci sono anche quelli che la usano soltanto per mettersi in mostra. C’è un certo autocompiacimento quando si suona un passaggio virtuosistico? Per quanto riguarda me, c’è un piacere fisico. Ma il momento più bello è quando c’è una frase che ha bisogno di un vibrato particolare. Negli ultimi anni si è dedicato anche alla direzione d’orchestra. Con qualche problema però, al Teatro di Napoli non è andata molto bene. Al San Carlo evidentemente davo fastidio. Volevo che ci fossero delle riunioni con i vertici artistici cosa che non è mai avvenuta. L’ho fatto presente con delle lettere, ma non ho avuto risposta. Ha dei rimpianti? Mi è dispiaciuto moltissimo perchè avevo incominciato a fare un lavoro con l’Orchestra del Teatro che stava dando buoni frutti. Mi hanno criticato perchè sceglievo dei tempi troppo lenti, il sovrintendente diceva che neanche Giulini faceva dei tempi così lenti. Non è vero: il Don Giovanni di Giulini non è più lento di quello di Karajan o di Bohem. E, cronometro alla mano, anche il ‘mio’ Don Giovanni non era più lento di quello di Giulini. Io ho amato molto Napoli, nella mia città ho creato anche un festival di musica di camera. E il pubblico mi chiede continuamente di ritornare. Tornerà? Per ora no. Ci sono rimasto troppo male, la ferita mi brucia ancora. Ho ricevuto centinaia di telefonate anonime. Hanno anche minacciato di uccidermi i cani. Capisce che non è stato facile. Parliamo un po’ di Stradivari, così facciamo contento Uto Ughi. Lei ne possiede due, un’autentica fortuna. Che cosa hanno di così speciale; valgono davvero quello che costano? È una questione di mercato, purtroppo. Ma sono realmente gli strumenti migliori del mondo? Io credo che Stradivari e Guarneri abbiano costruito gli strumenti più buoni che ci possano essere. Sono il sogno di qualsiasi violinista. Come mai la liuteria violinistica non ha più prodotto dei geni così grandi? Guardi, i violini si costruivano allora esattamente come si fanno oggi. Soltanto che loro erano più bravi. Per giudicare un violino bisogna aspettare almeno cinquant’anni. Ci vuole tempo. Quanti violini possiede? Credo che siano una quindicina. Sono i migliori strumenti moderni. Lei ha suonato più volte il violino appartenuto a Niccolò Paganini; che effetto le ha fatto tenere sotto il mento lo stesso strumento? Tanta emozione, il Guarneri appartenuto a Paganini è molto potente, soltanto che andrebbe suonato molto di più perchè il legno è una cosa viva. Dopo Accardo e Ughi quali saranno i vostri eredi? Io insegno da 10 anni a Cremona e li ho visti tutti. Un mio allievo, Massimo Quarta, ha vinto 3 anni fa il “Paganini”. Credo che Massimo abbia tutti i requisiti per continuare su questo passo. Poi c’è Marco Rogliano, Laura Gorna, Mirian Dal Bon e, infine, una ragazzina sarda di 9 anni che sta studiando con me e suona già il Concerto di Mendelssohn molto bene. Come passa una giornata Salvatore Accardo? Di solito mi alzo alle nove e mezza. Mi preparo il cappuccino perchè come lo faccio io non lo fa nessun bar al mondo. Bisogna cominciare a far montare il caffè con un po’ di latte. Poi, a parte, si fa montare del latte e lo si passa sopra. É una sciccheria. Dopo vado nel mio studio e faccio una mezzoretta di scale. Fare le scale è come lavarsi i denti, è una cosa diventata naturale. Incomincio a studiare il repertorio per un paio d’ore. Poi esco a fare un giro con i cani. Un pranzo leggero e, quando posso, guardo sempre un film western o di azione. Soprattutto in estate organizzo dei festival in casa mia dedicati al grande Totò che adoro. Studio ancora, ascolto un po’ di musica. Mi piacciono soprattutto le interpretazioni dei musicisti del passato. La sera, di solito, vado a cena fuori con gli amici. Se non torno tardi guardo la tv, soprattutto le trasmissioni politiche i talkshow dove ci sono personaggi come Sgarbi o Ferrara. Mi diverto anche con il satellite, ho la parabola, e cerco sempre lo sport. Lei è molto appassionato di calcio, dicono che quando può vada ancora giocare. Magari, oggi non posso più. Da ragazzo ero un buon portiere, erano venuti quelli del Napoli che volevano comperarmi. Mio padre non volle e non se ne fece più niente. Tifo per la Juventus, da sempre. Purtroppo giocare in porta era pericoloso per le mie mani e ho attaccato le scarpette al muro. Diceva che la domenica non suona mai: è una scelta da buon cattolico o una semplice abitudine? Sono un buon cattolico, ma non praticante. Vado in chiesa quando ne ho voglia. Una volta ho suonato a Lipsia sopra la tomba di Bach. Un’emozione grandissima. È appena uscito un suo disco per la Deutsche Grammophon “Diabolus in musica” dedicato a Paga-nini ; ha in preparazione anche altre incisioni? Ci sono dei progetti con dei giapponesi, ma per adesso è ancora top secret. Prima raccontava che venendo a Milano l’hanno riconosciuta in aeroporto, che effetto le fa essere fermato per strada? Mi sento molto imbarazzato, in fondo sono sempre rimasto un timido.

 

 

Copyright © Michelangeli Editore - Tutti i diritti riservati.