Suonare News 0 1998 Sei corde
 

La febbre di Boris
di Angelo Gilardino

Quale autore di un libro di storia della musica moderna e contemporanea per chitarra assisto al continuo sopraggiungere di notizie che rendono il capitolo del primo Novecento irreparabilmente superato: anche se scritto appena cinque anni fa, ha già bisogno di essere rifatto alla luce di quanto si è scoperto. Uno dei recuperi più interessanti è quello compiuto dal chitarrista-musicologo ed editore di Columbus (Ohio) Matanya Ophee che, molto ben introdotto nelle biblioteche musicali dell’ex Unione Sovietica, ha scosso la polvere da un giacimento di eccezionale valore musicale e storico: le composizioni per chitarra di Boris Asafiev. Si tratta di una raccolta di dodici Preludi, di due Studi, di un dittico intitolato Prelude Et Valse e di sei Romanze per chitarra sola (già pubblicati da Editions Orphée, la casa editrice che fa capo allo stesso Ophee, in un volume intitolato Boris Asafiev/Music For Guitar Solo, nella collezione “The Russian Collection”, Volume VI) e nientemeno che di un Concerto per chitarra e orchestra, non del tutto sconosciuto – perché già inciso in disco in Unione Sovietica negli anni Sessanta, ma in una versione da dimenticare e comunque ignota in Occidente – e di prossima pubblicazione. Boris Asafiev, nato a San Pietroburgo nel 1884 e morto a Mosca nel 1949, fu una delle figure più importanti della vita musicale sovietica. Compositore acclamato di balletti e di opere, fu anche uno dei teorici e dei critici più autorevoli che, con le sue idee, influenzò tutti i musicisti del suo paese. In Unione Sovietica, com’è noto, non esisteva una sola chitarra, ne esistevano due: quella a sette corde – strumento nazionale – e quella europea a sei corde, portata dai virtuosi italiani e spagnoli di passaggio: basti ricordare il soggiorno russo di Fernando Sor. Matanya Ophee definisce «pietra angolare della rinascita della chitarra a sei corde in Russia» l’articolo con il quale, nella Krasnaia Gazeta del 19 marzo 1926, Boris Asafiev riconosceva sensibilmente la nuova arte di Andrés Segovia, allora in Russia per la prima volta. La risonanza conferita da Asafiev a quell’evento dovette essere così intensa che Segovia si sentì stimolato, e colse l’occasione pubblicando a sua volta, su una rivista musicale, un articolo nel quale rivolgeva un appello ai compositori sovietici, invitandoli a scrivere per chitarra: e poi ci si chiede che cosa mai lo distinguesse dai suoi colleghi... La febbre chitarristica di Asafiev sarebbe salita tredici anni dopo: se le date che appaiono nei manoscritti riflettono la realtà (una realtà sbalorditiva), nel settembre del 1939, in soli quattro giorni, Asafiev avrebbe composto tutta la sua musica per chitarra – incluso il concerto – e con la sola esclusione delle Romanze, scritte l’anno seguente. Segovia, che suonò per l’ultima volta in Unione Sovietica nel 1936, poco prima di rientrare in Spagna per fuggirne di nuovo all’inizio della guerra civile, non vide mai la musica per chitarra di Asafiev: forse – nota Ophee – i due musicisti furono divisi non solo dalla distanza geografica, ma anche da quella politica. Io credo invece che, molto più banalmente, Asafiev non avesse il nuovo indirizzo di Segovia, altrimenti gli avrebbe inviato la musica e – autore comunista o no – Segovia l’avrebbe suonata. I Preludi di Asafiev sono bellissimi: freschi, originali, con una scrittura chitarristica ariosa e risonante, aprono una porta su quel mondo musicale – quello, per intenderci, di Kachaturian e di Shostakovic – che la chitarra purtroppo ha soltanto intravisto. Non si può credere che Asafiev sia stato capace di buttare giù dodici pezzi come quelli in un solo giorno: forse, nello stesso giorno li ha copiati e ha apposto la data della copiatura e non quella della composizione: ma, accidenti, si tratta di una minuta, e l’ipotesi che davvero li abbia scritti tutti da mattina a sera prende corpo in modo inquietante. Quanto al Concerto per chitarra e orchestra, è una perla: una parte concertante fitta ma non infatuata del virtuosismo fine a se stesso corre da un capo all’altro del lavoro reggendosi a una delicatissima orchestrazione: archi, timpani e un clarinetto. Qui, dovrei dire parecchio riguardo alla forma originale del pezzo e allo stravolgimento incomprensibile che ne fece, trent’anni fa, un chitarrista sovietico registrandolo in disco: ma quello che occorre dire in proposito, per ristabilire la fisionomia del Concerto così come Asafiev l’aveva concepito, lo dirò in altra sede. Intanto, non è possibile non sottolineare il fatto che, come il Concierto de Aranjuez e il Concerto in Re di Castelnuovo-Tedesco, anche questo di Asafiev è stato scritto nel 1939: che quello fosse l’anno benedetto per la chitarra?

 

 

Copyright © Michelangeli Editore - Tutti i diritti riservati.