Suonare News 0 1995
 

Il Professore ha voglia di suonare
di Pino Pignatta

A dieci anni prendeva un quaderno, scriveva titolo, nome dell'autore e dell'editore (Tipografia Matenna, cioè matita e penna) e poi completava la storia con le illustrazioni, nello stile di Emilio Salgari. Nell'80 ha pubblicato il primo romanzo, Il Nome della Rosa : 3 milioni di copie vendute in Italia, 14 milioni all'estero, 32 edizioni straniere, comprese la vietnamita e la lituana. Il secondo libro, Il Pendolo di Foucault, 27 edizioni, otto anni di lavoro, ha venduto otto milioni di copie in tutto il mondo. Per prepararlo ha letto 1500 libri. E ha coinvolto il figlio Stefano per le ricerche di astronomia. Umberto Eco, 63 anni, di Alessandria. Un docente di semiotica che è diventato famoso scrivendo un thriller ambientato nel Medioevo. Si era messo in testa di voler uccidere un monaco e ha creato un caso letterario. E' anche diventato ricco: dal Nome della Rosa è stato tratto un film che è costato quasi 20 milioni di dollari. Confida: . Il professore ha una moglie tedesca e un figlio che studia a New York. Si è laureato in filosofia all'Università di Torino. Alla fine del '54 è entrato in Rai, dove ha collaborato ai programmi culturali. Racconta: . Eco è non solo uno scrittore di romanzi. Insegna all'Università di Bologna, a Parigi e a Harvard. Ricordate il libroCome fare una tesi di laurea? Molti studenti hanno seguito i suoi consigli. Ed è appena uscito il Manuale contro l'intolleranza, che li aiuterà a rispettare le diversità di razza, di nazionalità e di cultura. Di recente è uscita una storia del Seicento in Cd-Rom, prima puntata di Encyclomedia, guida multimediale alla civiltà europea. Un'opera che Eco ha progettato e, in parte, scritto. Il dischetto contiene 200 libri, 9000 schede, 2000 immagini e due ore di musica. Costa 390 mila lire. Si passeggia tra storia e arte, letteratura e filosofia: ci sono la guerra dei Trent'anni, i quadri di Velasquez e qualche madrigale di Monteverdi. Umberto Eco, insomma, è un intellettuale eclettico. Sa tutto perché s'interessa di tutto. Hanno scritto che è "uomo di multiforme ingegno". . E' appassionato di musica da quando era ragazzo. Tra i 18 e i 20 anni ha scritto un racconto intitolato Il concerto: la storia di un tale che raduna 40 medium dando a ciascuno il compito di far rivivere uno spirito: Beethoven sul podio, Listz al pianoforte, Paganini al violino. Una volta ha dichiarato che se fosse nato a New Orleans, verso i primi del secolo, avrebbe fatto il jazzista. Ma se oggi non fosse Eco, chi vorrebbe essere? La sua ambizione, sembra impossibile, è fare il "pianista di piano bar". Intanto alcuni giornali hanno mostrato Eco mentre suona il flauto. Raccontare questo amore non è stato facile, ma alla fine ci siamo riusciti. Professore, quando è nata questa passione? La mia storia musicale è molto complessa e inizia più o meno nei termini in cui l'ho raccontata nel Pendolo di Foucault, attribuendola a Jacopo Belbo. Nel 1944, all'oratorio salesiani di Nizza Monferrato, entro in una banda di ragazzi, prima suonando il flicorno contralto e poi la cornetta in si bemolle. Nello stesso periodo ho anche acquistato un'ocarina. Tornato in città, ritenuta la cornetta troppo rumorosa, mi sono iscritto a un corso di pianoforte al Liceo musicale di Alessandria. C'erano il maestro Antonellini e il maestro Roveda, che mi ha convinto di avere mani da violoncellista: se intendeva che ho dita corte e tozze aveva ragione, infatti questo mi procura qualche difficoltà al flauto dolce. Ho tentato per alcuni mesi anche il mandolino. E il pianoforte? Abbandonato il violoncello sono passato nelle mani della maestra di piano di mia sorella, e in due anni sono arrivato a suonare il Sogno d'amore, Tristezze e, naturalmente, Le Petit Montagnard. Oggi al pianoforte riesco ancora a suonare Oh Susanna in Do maggiore. Quando ha scoperto il flauto dolce? Verso i vent'anni, grazie a un tedesco conosciuto a Roma. Ne ho acquistato uno in bachelite e per due o tre anni sono andato avanti suonando melodie popolari. Poi ho scoperto che esistevano versioni facilitate di Telemann, Bach, eccetera. Più tardi sono passato a un Moek in ebano e sono entrato nella musica seria. Che cosa ascolta? Negli anni del liceo ho scoperto la musica classica con il percorso Schubert (Incompiuta), Chopin (Sonata in Si bemolle minore op. 35) e Beethoven (pazzo per il secondo movimento della Settima). Ascoltavo stando attaccato a una radio avarissima, per poi abbonarmi subito quando ad Alessandria sono cominciati i venerdì musicali. Lotte da futuristi al Salone Margherita, con i vecchi bacucchi che fischiavano Bartok. Nelle immagini si vede sempre un flauto dolce. E' un amore esclusivo o c'è spazio anche per il traverso? Suono solo il dolce. Ho iniziato con quello in do, poi sono passato al fa, che naturalmente dà più gusto e ha una letteratura più vasta. Ho vari flauti: alcuni in plastica, altri in ebano, di buona qualità. Ne ho uno di fattura artigianale, e talora penso che per un'esecutore come me sia sprecato. Scrittore, traduttore, docente di semiotica ed esperto delle comunicazioni di massa. Quando trova il tempo per suonare? Va a periodi. Suono molto quando sono in campagna. In città suono negli interstizi, per interrompere qualche attività che mi dà troppa tensione. Per lungo tempo, nell'appartamento in cui vivevo prima, suonavo in bagno, per via dell'ottima acustica. Ora ho una stanza che è perfetta e un leggio secentesco. In campagna suono su un falso (ma ben ricostruito) leggio medievale fatto per il film Il Nome della Rosa, l'unico cimelio che sono riuscito a farmi dare. E che cosa suona? Con il flauto soprano, principalmente Jacob van Eyck. Con il contralto, diciamo che suono male una letteratura quasi professionale. Molto Bach, Telemann e Marais. Ultimamente mi sono affezionato a Loeillet. Ogni tanto faccio Haendel su un disco Minus One, oppure Marcello e Sammartini. Che cosa porterebbe in concerto? Non farei le Fantasie di Telemann, che mi danno sempre problemi. Farei da solo, con il contralto, qualche allemanda di autore barocco ignoto, o il minuetto L'inconnu di Quant. Potrei azzardarmi anche nella trascrizione delle Suites per violoncello di Bach, almeno per le prime due. Con il soprano farei Amarilli, Laura e Boffons di Van Eyck. Forse Daphne (sino alla penultima variazione) e Pavane Lacryme, che sono per soprano. Le eseguirei con il contralto, perché diventano più pastose (qualche maestro lo fa). Ma suono soprattutto per me stesso. Quando ho provato a suonare con qualcuno, ancora di recente, ho fatto Loeillet. E' facile, ti sembra di essere un virtuoso. Si può suonare soltanto per passione? Per fortuna, sì. Così come si possono scrivere pagine di diario senza essere scrittori. E' molto importante che le arti siano particabili da tutti: guai a lasciarle solo ai professionisti. C'è un diritto, sano e irrinunciabile, al dilettantismo. Un'inchiesta rivela che solo 7 italiani su 100 suonano uno strumento. E' un problema di educazione o c'è dell'altro? In certi Paesi i bambini si avvicinano alla musica proprio con il flauto dolce, uno strumento che a suonarlo bene ci vuole una vita, ma a suonarlo alla buona s'impara subito. In questo senso siamo il popolo meno musicale del mondo. La scuola non ci aiuta. Credo che se uno non sa suonare, anche poco, non sa neppure ascoltare, perché non capisce che cosa succede. Se qualcuno sa apprezzare un bell'acuto è perché ha provato che cosa vuol dire cantare. E' vero che avrebbe voluto fare il pianista di piano bar. Umberto Eco come De Gregori, possibile? Si, mi piace l'idea di una vita senza preoccupazioni: una sigaretta all'angolo della bocca e via con vecchie melodie. Mio antico amico è Gianni Coscia, il fisarmonicista. In campagna ci divertiamo a rievocare varie epoche: gli anni Venti, Trenta, il dopoguerra, eccetera. Un giorno ha detto che a New York sembra di vivere in una jam-session: improvvisazione e casualità generano ordine e armonia. Pensa spesso in termini musicali? Ho iniziato il mio lavoro di studioso sull'estetica medievale, che è dominata dal modello musicale di origine pitagorica. Questo forse mi ha disposto a vedere il lavoro creativo in termini musicali. In effetti, penso molto in termini di ritmo, di intrecci e rimandi di temi e motivi. Si veda nelle mie Postille al Nome della Rosa il racconto di come procedevo a unire brani di citazioni bibliche e di mistici nel descrivere la scena d'amore nella cucina. Luciano Berio ha affermato che L'isola del giorno prima è il libro più musicale di Umberto Eco: una struttura narrativa suddivisa in tre sezioni che s'intersecano come piani sonori. Che ruolo ha la musica in questo lavoro? E' un'osservazione che mi ha fatto piacere. Tanto più che Berio ha detto in un'intervista che il flauto lo suono sempre peggio. Quanto all'Isola, direi che la prima idea è stata di strutturare il libro come una suite. Qua e là ci sono accenni a danze dell'epoca, gighe, sarabande e pavane. D'altra parte, nel romanzo appare un musicista olandese cieco che è chiaramente Jacob van Eyck, e le due navi si chiamano come due sue composizioni, Daphne e Amarilli. E poi c'è un organo, simile a quelli che appaiono nella Musurgia di Athanasius Kircher, che suona Daphne. Quindi avevo molto presente la musica dell'epoca, il Seicento, sia dal punto di vista delle teorie sia da quello dei testi. Questo, forse, contribuisce a dare al romanzo un tono musicale. Professore, una volta ha detto: . Anche la musica appartiene a questo mondo, intimo e lontano dalla ribalta? Si, per rispetto degli altri. Kant diceva che la musica è un'arte inferiore perché disturba chi non vuole ascoltarla, mentre con un quadro o un libro basta voltare la testa. Sappiamo che suona soltanto per gli amici. Per noi c'è posto, anche in un angolo? Se venite una volta da me in campagna, sarete ammessi a qualche duetto. Ma con l'impegno del silenzio, dopo. BOX: MUSICA E INFORMAZIONE Nel 1962 Umberto Eco dà alle stampe la prima edizione di Opera aperta, un libro che ancora oggi è un punto di riferimento per il dibattito sull'arte contemporanea, sulle tecniche linguistiche (letteratura sperimentale, pittura informale, cinema e tv) e sul ruolo ideologico delle avanguardie artistiche. Ve ne proponiamo un frammento che contiene alcune considerazioni sulla musica seriale e sulla sua capacità di trasformarsi in veicolo di comunicazione. <...una forma sonata classica rappresenta un sistema di probabilità nell'ambito del quale è facile predire il succedersi e il sovrapporsi dei temi; il sistema tonale instaura regole di probabilità in base alle quali il mio piacere e la mia attenzione di ascoltatore sono dati proprio dall'attesa di determinate risoluzioni dello sviluppo musicale della tonica. All'interno di questi sistemi è chiaro che l'artista introduce continue rotture dello schema probabilistico e varia all'infinito lo schema elementare, che è rappresentato dalla successione in scala di tutti i suoni della gamma. Il sistema dodecafonico è in fondo un altro sistema di probabilità. Quando invece in una composizione seriale contemporanea il musicista sceglie una costellazione di suoni da relazionare in modi molteplici, egli rompe l'ordine banale della probabilità tonale e istituisce un certo disordine che, rispetto all'ordine di partenza, è altissimo: tuttavia introduce nuovi moduli di organizzazione che, opponendosi ai vecchi, provocano una vasta disponibilità di messaggi, quindi una grande informazione, e tuttavia permettono l'organizzarsi di nuovi tipi di discorso, quindi di nuovi significati.... Questo non determina il risultato estetico: mille goffe costellazioni di suoni svincolati dal sistema tonale mi diranno meno (mi informeranno meno, mi arricchiranno meno) della Eine kleine Nachtmusik. Tuttavia si rivela che la nuova musica si muove in una data direzione costruttiva, alla ricerca di strutture di discorso in cui la possibilità di esiti diversi appaia come il fine primario....>. BOX: Loeillet, che passione! Jean-Baptiste Loeillet, detto anche John of London, nato a Gand nel 1680 e morto a Londra nel 1730. Questo il biglietto da visita del compositore fiammingo prediletto da Umberto Eco. Non è certamente un gigante della musica, niente a che vedere, insomma, con i contemporanei Bach e Vivaldi, ma il principale esponente della dinastia dei Loeillet ha comunque prodotto opere di buona fattura. Al flauto dolce, Jean-Baptiste dedica diverse composizioni, fra cui 12 Sonate e alcune Sonate a tre per due flauti e basso continuo. Dal 1705, trasferitosi a Londra (da qui il curioso soprannome), vive suonando come oboista nelle orchestre del Queen's Theatre e dell'Opera. Per campare si dedica anche all'insegnamento del flauto e del cembalo. Al Professore la musica di Loeillet piace perché è “facile” da suonare. In effetti le sue composizioni non richiedono virtuosismi acrobatici e assicurano un risultato godibile. Il maestro fiammingo compose anche due pregevoli raccolte di Lessons per clavicembalo o spinetta.

 

 

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