Suonare News 0 2002
 

Addio Bonucci, maestro di tutto
di Valentina Lo Surdo

Il violoncello inclinato sulla spalla, le dita che seguono un tracciato perfetto, la danza morbida dell’artista che culla il suo strumento, i sopraccigli inarcati, lo sguardo rivolto lontano, quasi sempre senza guardarsi le mani, oppure spesso ad occhi chiusi, serrato in un solido abbraccio intorno al Miremont ereditato da Pierre Fournier. Così ricorderemo sempre Arturo Bonucci. Di lui, discendente da una magnifica genealogia di musicisti romana, altro non si può dire che fosse nato per suonare lo strumento che scelse nel 1964, pochi mesi dopo la morte di un violoncellista leggendario, il più grande del tempo in Italia, che guarda caso si chiamava come lui e che mai poté ascoltarlo: suo nonno. Aveva dieci anni quando entrò in Conservatorio e ben presto dimostrò un talento fuori dal comune, una manualità e una naturalezza disarmante. Ma tutto ad Arturo veniva così bene che amava mettersi alla prova con una sfrenata curiosità per decine di materie diverse, prima su tutte il volo, secondo uno schema che lo riportava ancora a quell’immenso personaggio che fu il suo omonimo nonno (glorioso pilota nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale). Il violoncellista-Arturo dopo il diploma studiò all’Accademia Chigiana, quindi al Mozarteum. Volle poi conoscere Fournier e a Ginevra divenne il suo allievo prediletto tra i prediletti. Il grande maestro francese di lui scrisse, in una lettera appassionata: «Ammiro il suo talento che lo pone alla testa della sua generazione (…), la sua carriera fa e farà onore alla musica, con la sua personalità così avvincente e sincera». Era il 1983 e Bonucci, ventinovenne, già portava nelle più prestigiose sale da concerto del mondo il vessillo della sua scuola; era il periodo di uno studio profondo e incessante, il periodo della nascita di un concertista di fama internazionale, salutata da successi folgoranti. Eppure Fournier, al di là delle qualità musicali eccezionali che fecero di Arturo uno dei più importanti violoncellisti del nostro tempo, lo fotografò così, con le caratteristiche che lo resero oltre che speciale unico: la semplicità e la forza comunicativa, che si traduceva nella naturale simpatia del sorriso schietto, degli occhi che ridevano sempre, nell’indole positiva e vitale. Arturo non era un artista Sturm und Drang, tormentato ed egocentrico, ma semplicemente un uomo innamorato della vita e il violoncello era il potente amplificatore della sua anima generosa. L’emozione che sapeva suscitare il suo suono caldo e sincero divenne così proverbiale che le parole suono e canto furono le più usate nei titoli della stampa internazionale in trent’anni di carriera. In musica il suo desiderio di conoscere e scoprire lo aveva portato ad essere protagonista, oltre che di innumerevoli prime esecuzioni di autori contemporanei, di un repertorio poco frequentato – basti pensare alla sua amata Sonata di Rachmaninov – e anche di numerose prime esecuzioni moderne di opere classiche: tra queste incise l’integrale dei concerti di Leo per violoncello. Tra le altre registrazioni si segnalano opere di Donizetti, Hummel, Ries, in formazione di duo le opere integrali di Martucci, Ries, Cilea, Longo, Serrao, sino a Respighi e Ferrara, mentre in trio con pianoforte le opere complete di Martucci, Castelnuovo-Tedesco, Hummel, Donizetti e Ghedini. La sua sensibilità lo aveva portato ad avere un rapporto intimo con la natura, che considerava come qualcosa di sacro, da vivere in maniera profonda e appassionata. Il pilota, il sub, l’astrofilo amava ripetere che nel silenzio e nella solitudine assoluta dell’acqua e dell’aria, quando ti trasformi in pesce o in uccello, la terra si allontana con il suo carico di chiacchiere e di preoccupazioni. Così il violoncellista di fama internazionale titolare di cattedra presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia partiva per i suoi viaggi in sacco a pelo sui monti del Lazio e dell’Abruzzo, a scrutare le stelle e fotografare le galassie; o in deltaplano volava sui cieli dell’Umbria insieme al fratello Rodolfo, straordinario violinista anch’egli con la passione per l’aria, o ancora partiva per le sue battute di pesca subacquea, proprio come fece nell’ultimo giorno della sua vita, il 2 maggio 2002 nelle acque di Pantelleria. Fu il suo amore per la vita a renderlo un musicista così umano e un insegnante generoso: i suoi allievi amano ricordare, ad esempio, la spontaneità con cui confidava i suoi segreti professionali, i preziosi trucchi del mestiere. È vero dunque che «i grandi violoncellisti hanno perso un collega; gli altri violoncellisti un modello cui mirare; numerosi compositori del secondo Novecento un amico entusiasta che ha favorito la diffusione delle loro opere», come è stato scritto all’indomani della sua scomparsa, come è stato ripetuto nei funerali che hanno visto raccolto intorno a lui il mondo musicale italiano. È vero anche quello che ha dichiarato uno dei suoi allievi più promettenti: «Un altro maestro di violoncello lo troverò ma un altro maestro di tutto no». BOX: Un ricordo di famiglia Mio fratello Arturo di rodolfo bonucci Una delle caratteristiche della ricchissima personalità di mio fratello Arturo Bonucci era la convivenza di una straordinaria e istintiva sensibilità di artista con una prodigiosa mente razionale e scientifica. Solo nella musica queste sue due personalità potevano esprimersi insieme, in sinergia e mai in contrasto: il calore, la fantasia, il suono seducente provenivano infatti dal suo cuore di artista nato; la sagacia nella didattica, la padronanza e l’assoluta consapevolezza tecnica erano frutto invece della sua eccezionale mente matematica. Per tecnica intendo naturalmente la capacità razionale e non virtuosismo, poiché è proprio nel virtuosismo che il grande interprete fonde la perfezione con l’elemento irrazionale, con l’estro. Se i grandi tecnici sono infatti impegnati sempre con la tecnica, i grandi virtuosi invece la dimenticano, sublimandola. Arturo era tra questi. «È la reincarnazione del nonno” mi diceva Giuseppe Selmi, suo primo maestro. Da Selmi Arturo ricevette il dono (raro!) di una perfetta impostazione. E di questo mio fratello gli fu sempre grato. Con Silvano Zuccarini, che lo portò al diploma, fu invece messo in diretto contatto con la scuola di suo nonno, Arturo Bonucci senior, di cui Zuccarini era stato allievo. Una tecnica di arco da violinista e una posizione della sinistra, in capotasto, da pianista furono due importanti eredità tecniche tramandategli da Zuccarini, che fu il maestro che forgiò pienamente la tecnica del giovane Arturo, preparandolo al massimo grado di virtuosismo. Da violinista posso dire che Arturo possedeva dei colpi d’arco straordinari, da grande virtuoso del violino. Da neo-diplomato, Arturo ebbe contatti con Navarra a Siena e Janigro a Salisburgo. Di Navarra diceva scherzando che gli era grato soprattutto per averlo obbligato a suonare a memoria sempre, cosa su cui l’Arturo diciannovenne era un po’ pigro. Amava ricordare di frequente il gesto imperioso di Navarra quando gli levò la musica dal leggio e gliela gettò via…facendogli così prendere coscienza di possedere un’eccellente memoria! Da Janigro ebbe illuminanti consigli tecnici e di diteggiatura. L’anima gemella didatticamente parlando l’avrebbe trovata in Pierre Fournier, che frequentò per anni e da cui ereditò il violoncello Miremont. La profondità innegabile ma discorsiva del grande francese, la consuetudine interpretativa delle grandi opere di Bach, Beethoven, Brahms, Schumann furono decisive nella maturazione del giovane virtuoso. Un altro aspetto fondamentale della sua personalità artistica era il suo talento per la didattica. Lui, spirito libero e dotato di un istinto straordinario, sapeva invece trasmettere ai suoi allievi un lucido amore e un appassionato rigore per il violoncello, lo strumento a cui egli tanto ha dovuto ma che a sua volta deve molto al nome di Arturo Bonucci.

 

 

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