Suonare News 0 2003 Sei corde
 

Recuerdos con riserva
di Angelo Gilardino

L’anno scorso ricorreva il 150° anniversario della nascita di Francisco Tárrega, e si sono svolte numerose celebrazioni. Due sono state, secondo me, degne di nota, perché sono andate oltre la cerimonia effimera: una nuova biografia e una nuova registrazione discografica delle opere. La vita di Tárrega è già stata raccontata in forma agiografica da Emilio Pujol e, meno liberamente ma sempre in modo devozionale, da Wolf Moser. È ora la volta di Adrián Rius, chitarrista di Castellón, che presenta il suo lavoro come Biografía Oficial, evidentemente con il proposito di metter fine alle leggende e alle fanfaluche. Il volume di 261 pagine è stato pubblicato dal comune di Villareal de los Infantes, il pueblo dove Tárrega ebbe i natali. Si tratta di una bella edizione, ben impaginata e ricca di iconografia. Consiste in una diligente e ordinata compilazione dei dati preesistenti e già noti, ai quali sono stati aggiunti i molti frutti della ricerca personale dell’autore, reperiti in emeroteca, nelle edizioni musicali dell’epoca e anche grazie alla disponibilità di alcuni eredi, che hanno permesso la consultazione di carte private. Da questo punto di vista, la biografia di Rius offre indubbiamente un apporto valido e utile, e non occorre altro per sottolineare l’importanza della pubblicazione. Mi sarei aspettato anche uno studio interpretativo dei documenti, che distinguesse il piano aneddotico da quello storico, magari riducendo (se non azzerando) il primo – già esaltato nella leggenda aurea del Pujol – a favore del secondo. Inoltre, mi sarei aspettato, nell’esposizione dei fatti, un puntuale, continuo riferimento alle fonti, un atteggiamento selettivo nei riguardi delle medesime e un vaglio rigoroso della loro attendibilità. Invece, l’esposizione procede senza distinguere la consistenza dei fatti dalla leggerezza delle storielle (sulla cui veridicità non c’è proprio da giurare): un controllo più severo dei dati avrebbe potuto dar luogo perlomeno a qualche perplessità e a qualche interrogativo. Un esempio: a pagina 95, l’autore riferisce che Tárrega abbandonò la residenza barcellonese nella torre di San Gervasio all’inizio del 1899, in seguito alla rottura dei suoi rapporti con la proprietaria, doña Concha de Jacobi, rottura seguita da maldicenze velenose da parte della dama; tuttavia, a pagina 89, è riportata la notizia della composizione del brano Recuerdos de la Alhambra, dedicato con ardore alla stessa Jacobi, e datato 8 dicembre 1899. Il confronto tra la data del pezzo, scritta dall’autore di suo pugno, e la data dell’abbandono della torre dovrebbe far sorgere qualche interrogativo: possibile che Tárrega, messo alla porta dalla volubile Concha, avesse avuto voglia di evocare pochi mesi dopo, con una dedica così appassionata, il loro viaggio sentimentale a Granada? Altro esempio: tra le persone ringraziate dall’autore, figura Melchor Rodriguez, uno dei pochissimi viventi tra coloro che furono allievi di Salvador García, detto Pancha Verda. Rodriguez sostiene – lo ha detto con forza anche a me più di una volta – che il miglior allievo di Tárrega fu proprio García, ma nel volume costui non è nemmeno menzionato: non era la biografia “ufficiale” la sede più adatta per ricostruire anche l’anagrafe reale dei tarreghiani, aggiornando quella del Pujol? In campo discografico, Giulio Tampalini – pur senza riferirsi esplicitamente all’anniversario – propone due Cd contenenti tutte (o quasi) le composizioni tarreghiane (Complete Works for Guitar, con l’etichetta Concerto). Nessun recupero filologico, nessuna chitarra Torres, e via con la musica, dall’alto di una tecnica che annulla ogni traccia di lavoro e di fatica, rappresentando il risultato musicale con limpidezza cristallina e con disarmante semplicità. I caratteri dei brani appaiono nella più diretta e immediata evidenza, senza sottolineature retoriche o manierismi sentimentali: Tampalini ritrae il romantico Tárrega con una perfezione palladiana. Si apprezzano in pieno, nell’ascolto dei due Cd, le differenti ispirazioni tarreghiane – quella più alta dei Preludi e quella che rispondeva, con le lepide Variazioni sul Carnevale di Venezia, alle aspettative del pubblico nei pueblos, e l’ispirazione che portava l’autore, al seguito di Tomás Bretón, a comporre pagine esotiche, in cui si sognava una Spagna arabo-andalusa fittizia ma seducente. Tampalini si è fatto un solo boccone di tutto questo piccolo mondo, e ce lo offre candidamente, come noi lo dovremmo ascoltare. Non dobbiamo chiedere scusa a nessuno – Tárrega non è Bizet, ma non ha nulla da invidiare a Sarasate, che i violinisti si tengono ben stretto.

 

 

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