Suonare News 0 2003 Sei corde
 

Adesso...poi subito il buio
di Angelo Gilardino

Non dovette ricorrere a molte parole Goffredo Petrassi, quando gli fu domandato quali fossero i motivi del suo interesse per la chitarra (intervista rilasciata dal compositore a Ruggero Chiesa nel 1972). Disse infatti: «La sua intimità, il suo mistero e il suo timbro rappresentano le tre componenti che mi hanno attratto e mi hanno fatto ritornare spesso sulla chitarra». Proprio in quel periodo, Petrassi aveva consegnato al suo editore (Suvini Zerboni) il manoscritto di Nunc, il suo secondo (e ultimo) pezzo per chitarra sola. Nel ricordare il compositore (scomparso il 3 marzo 2003 all’età di 98 anni) un chitarrista non può che incominciare da Nunc, uno dei picchi solitari del repertorio del suo strumento. Strano – apparentemente – il titolo del brano scritto per le sei corde, da tutti riconosciute per il loro potere evocativo. Ma l’ora, il tempo presente di Petrassi non aveva alcun riferimento al tempo cronologico. Era un adesso agostiniano: tutto ciò che esiste è eternamente presente, e in tale presente c’è il presente del passato e il presente del futuro. Non essendoci nulla da evocare, c’è forse nel presente qualcosa che si possa comprendere, dominare, assoggettare alla nostra mente? Nunc è la risposta a questo interrogativo: risposta che nessuno può tradurre fuori dal linguaggio musicale. Discorrevo a proposito di Nunc con un compositore amico di Petrassi, e si cercava insieme una sorta di corrispondenza letteraria: per lui, era tra le opere di Albert Camus. Io preferisco T.S. Eliot, e penso che i versi di Burnt Norton, il primo dei Four Quartets, avrebbero potuto essere stampati come epigrafe in capo a Nunc: If all time is eternally present/All time is unredeemable. La chitarra-sonda di Falla e di Britten, che affonda nel passato e capta messaggi remoti, senza peraltro scioglierne il mistero, muta, in Nunc, in un faro a luci intermittenti: nell’adesso petrassiano non c’è che una provvisoria divinazione, che non approda a durevoli stati di conoscenza, a stabili forme di sapere, a cognizioni acquisite, ma che schiude soltanto fugaci visioni e improvvise percezioni, subito inghiottite dal buio. La chitarra-persona, con cui dialogare in intimità, era in realtà uno specchio di sé, della propria anima, e del suo stesso, indecifrabile enigma, precluso a ogni rivelazione. L’adesso è quindi il tempo di un circuito fulmineo che, dall’anima, dalla coscienza e dalla mente, sprigiona segnali criptici subito echeggiati, con ineguagliabile immediatezza e fedeltà, dal suono dello strumento: ma in questo circuito non c’è alcun svelamento, al mistero della persona risponde il mistero della vibrazione, che dunque copre non una, ma due sfingi. Persino ciò che sembrava cognito, il frammento verdiano di quattro note, viene inghiottito dal buio. E non è solo, tra i sussulti di memoria presenti in Nunc: scrissi al maestro che io riconoscevo nel pezzo anche un’esclamazione schönbeghiana (Verlächte Nacht) e persino, se pur lontanissima, un’eco delle Noches di Falla. Mi rispose che era probabile – non certo, perché non se ne era reso conto all’atto di scrivere, ma osservò che non a caso si trattava di musiche ispirate alla notte. Inutile domandarsi se il mondo musicale e gli stessi interpreti ai quali il brano è stato affidato si siano resi conto dell’innalzamento della chitarra verificatosi in Nunc: i programmi dei concerti sono lì a documentare la diserzione dai valori e dai significati, mentre imperversa il baccanale. Nunc è ancora da interpretare: la sua superficie è stata spalmata di lirismo (“bel suono” che non c’entra nulla), addobbata con ingenui tappeti sonori, degradata a scenografia teatrale. Grondona c’è andato vicino, con il suo scavo. Dovrebbe riprovarci. Il ritornare alla chitarra, di cui Petrassi parla nell’intervista concessa a Chiesa si è manifestato nell’impiego – soprattutto timbrico – dello strumento nella Seconda serenata-trio (1962), in Alias (1977), nel Grand septour avec clarinette concertante (1978), nella Sestina d’autunno Veni Creator Igor (1982). Ma nel 1959, Petrassi aveva composto Suoni Notturni (pubblicato da Ricordi nella famosa Antologia per chitarra), pura utopia affidata al suono della chitarra come superstite fuggiasca dal mondo dei rumori invadenti, dell’attualità becera, della tracotante aggressività del “progresso”. Il brano inizia con una sorta di klangfarbenmelodie, poi evoca un’arpa celestiale, e a questi giochi preludianti fa seguire due sezioni, una polifonica e una ritmica, in cui i suoni della chitarra vengono identificati con il mistero della notte: notte oscura dell’anima, come aveva cantato San Juan de la Cruz, il mistico spagnolo caro a Petrassi, notte oscura che intercorre tra l’uscita dal mondo e l’incontro con la luce. Una notte che, per il grande compositore, è durata forse tutta la vita.

 

 

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