Suonare News 0 2003
 

Che nostalgia, il mio “Busoni”
di Filippo Michelangeli

Direttore artitsico per 12 anni dell'Orchestra “Haydn” di Trento e Bolzano, Hubert Stuppner, 59 anni, ha appena lasciato la guida della filarmonica altoatesina. Al suo posto è arrivato il direttore d'orchestra austriaco Gustav Kuhn, artista conosciuto in Italia, dov'è stato responsabile della Filarmonica marchigiana. Stuppner in Alto Adige è un personaggio molto noto. Oltre che responsabile della "Haydn", ha guidato per 15 anni il Conservatorio di Bolzano ed è stato direttore artistico del Concorso internazionale "Busoni" nel periodo di massima visibilità della competizione pianistica. L'abbiamo incontrato qualche settimana fa a Trento. Dopo vent'anni di dominio assoluto nelle valli tirolesi, per lui si prospetta ora un periodo di riposo, lontano da incarichi di responsabilità. Nonostante attraversi un momento di difficoltà, non ha perso il vigore di un tempo e non si lascia sfuggire l'occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Maestro, da dove viene la sua passione per la musica? Sono nato a Trodena, provincia di Bolzano, nella magnifica comunità della val di Fiemme, il 19 gennaio 1944. La gente di montagna di solito è molto radicata nel proprio territorio, io invece ho sempre avuto voglia di andare via, di scappare. Il collegio è stato una salvezza, perché mi distraeva da un contesto troppo familiare e ristretto. Ho studiato pianoforte, ma non in maniera sistematica. Non ero un allievo precoce, ho fatto l’esame di compimento inferiore a 16 anni ed era troppo tardi per avviarsi a una carriera pianistica. Mi sono diplomato in pianoforte e contemporaneamente mi sono iscritto alla facoltà di Lettere all'Università di Padova. La mia tesi di laurea era su Brahms. Pensavo di intraprendere la strada del musicologo, sono andato a Darmstadt e lì è nata la mia vocazione. Ho fatto due cicli di studi nel 1970 e nel 1972. A quell'epoca era un momento magico perché c'erano Xenaxis, Ligeti, Stockhausen. E dopo Darmstadt? Tornato dalla Germania ho deciso di dedicarmi anima e corpo alla composizione. Non mi sono mai diplomato, ma ho vinto qualche concorso. Ricordo un premio al Gaudeamus di Amsterdam, l'anno in cui Fabio Vacchi vinse il primo premio. Da allora mi sono concentrato sulla composizione. Quando è arrivato al Conservatorio di Bolzano? Nel 1981 ero a Graz, dove avevo un'esecuzione con l'orchestra austriaca e mi telefonò Andrea Mascagni. Era l'anno in cui in Parlamento si fece un'interpellanza contro le nomine politiche a direttore di conservatorio. Venne istituito un concorso. Mascagni mi spinse a fare domanda anche se io non avevo intenzione di fare il direttore, mi pareva di diventare un burocrate e poi ero in un momento molto produttivo. Alla fine mi convinse. Partecipai al concorso e mi classificai nei primi ranghi. Mi arrivò la nomina come direttore nel 1981. Da principio mandai un telegramma di rifiuto, ma una telefonata dal ministero mi convinse ad accettare. L'anno dopo vinsi anche l'altro concorso per soli titoli. Al "Busoni" c'era ancora Cambissa e c'era una clausola che permetteva al direttore uscente del Conservatorio di Bolzano di rimanere alla guida del concorso pianistico ancora per un anno. L'anno dopo sono subentrato io e sono rimasto al "Busoni" per 15 anni fino a quando ho avuto un’odiosa denuncia, che poi si è risolta con un’assoluzione piena, ma è costata la sospensione cautelare da direttore del conservatorio. Mantenni la presidenza della giuria, mentre la direzione era passata al mio successore facente funzione, Brunetti, che però non era pianista ma basso-baritono. Poi è subentrata la direttrice Vera Carpi e adesso c'è Andrea Bonatta. Parliamo di questi 15 anni del “Busoni”. Che cosa è cambiato? Quando presi la responsabilità del "Busoni", al vincitore venivano dati 5 o 6 concerti e, quello che era più grave, non c'era nessun vincolo da parte delle società di concerti a garantirli. Molti vincitori a cui era stato promesso di tenere concerti a Siena o all'Accademia S. Cecilia di Roma, di fatto non li fecero mai. Negli anni, a poco a poco, portai il numero di esibizioni a 50 date, dapprima solo in Italia, poi anche in Austria e Germania. L'offerta sostanziosa portò a un balzo delle iscrizioni e, di conseguenza, anche della qualità. A quell'epoca nessun pianista poteva uscire dall'Unione Sovietica, i migliori venivano selezionati a Mosca e mandati ufficialmente dal Governo russo. Il problema è che all'epoca il "Busoni" non era considerato un concorso affidabile e le delegazioni di pianisti venivano "scortate". Per le autorità sovietiche c'era il rischio che un pianista, una volta giunto a Bolzano, chiedesse asilo politico. Quali sono gli anni che ricorda con più entusiasmo, sia per la qualità dei vincitori che della commissione? Ho sempre cercato di cambiare e di ringiovanire le commissioni. Prima c'era un gruppo di amici che si ritrovava ogni anno. Io ho creato un grande ricambio culturale e il numero dei giurati è aumentato fortemente. Ho introdotto anche nuove regole, escludendo gli insegnanti: anzi, quando un maestro era in giuria i suoi allievi non venivano nemmeno ammessi. Credo di aver assicurato anni di grande trasparenza. Quali candidati l'hanno colpita di più? Sono arrivati a Bolzano tanti pianisti. Molti dopo il "Busoni" hanno fatto carriera. Il primo importante vincitore durante la mia direzione è stato Louis Lortie. Che cos'è un concorso di interpretazione pianistica? È solo una gara o c'è qualcosa di più? C'è di più. Il concorso pianistico è lo specchio dei tempi in cui viviamo. Assistere alle prove di un concorso vuole dire rendersi conto del reale livello pianistico internazionale. Al Concorso "Busoni" ho introdotto un nuovo sistema di votazione che non permetteva più forti oscillazioni dei voti. Classificarsi primi nella graduatoria non voleva dire vincere automaticamente il premio Busoni. Volevo che il livello fosse sempre alto. Insomma, è un sostenitore del primo non assegnato? Sì, quando c'erano 11 membri in giuria, dovevano esserci almeno 10 voti favorevoli. Altrimenti il premio non veniva dato. Questo sistema oggi è molto criticato. Ed è una caratteristica tipica dei concorsi italiani, all'estero si tende ad avere un vincitore sempre... Ricordo quando era sul punto di vincere lo jugoslavo Alexandar Madzar. Aveva le qualità, aveva eseguito uno Schubert da brivido, tutte le prove perfettamente. È cascato nel Concerto di Ciaikovsky, non era preparato. All’inizio tutta la giuria però era per il sì, mentre ricordo che io sollevai il dubbio e ci fu una lunga discussione, in seguito alla quale la maggioranza decise di non assegnare il premio. Non conveniva a nessuno inflazionare l'albo d'oro, e volevamo anche rendere il premio Busoni un marchio di assoluta qualità per le agenzie concertistiche. Parliamo dell'incarico come direttore artistico della Haydn... L'Orchestra Haydn è una realtà complessa perché lavora su due piazze, Trento e Bolzano, e serve una provincia che ha tre gruppi linguistici: italiano, tedesco e ladino. Inoltre c'è differenza tra una provincia prevalentemente di lingua tedesca, Bolzano, e una provincia di Trento, italiana, che ha altre tradizioni musicali. Negli anni passati Bolzano godeva di una reputazione culturale molto più alta, con attività finanziate anche dall'estero. Il Trentino era più arretrato, la gente era molto devota: invece del concerto preferiva andare in chiesa. Bolzano era più mercantile e le arti avevano considerazione maggiore. E poi Bolzano ha avuto la sede dell'orchestra e la cosa ai trentini non è mai andata giù. Che organico ha l'Orchestra Hadyn? Una quarantina di professori, oggi provenienti da tutt'Italia perché selezionati con concorsi nazionali. È un'orchestra un po' più grande di una da camera e un po' più piccola di una sinfonica; quando era necessario abbiamo allargato la base per il repertorio sinfonico con professori aggiunti. La media, durante le esecuzioni, è di 52 elementi. L'orchestra costa circa 4,5 milioni di euro ed è gestita da un'ottima amministrazione, che è riuscita a non farla mai andare in rosso. Posso dire che negli ultimi 10 anni abbiamo raddoppiato il numero degli abbonati: oggi vendiamo 45 mila biglietti l'anno. Non è un numero da poco per il Trentino Alto-Adige. Adesso che cosa farà? Credo che avrò più tempo per comporre, per leggere. Ho scritto due libri, uno in tedesco sui pianisti e l'altro sulla musica del Novecento "Sonata di fine tempo", perché considero che con il secolo scorso è finita una concezione della musica. Che cosa si aspetta dal mondo dei concorsi? Intanto i concorsi oggi sono talmente numerosi che non sono più strumento esclusivo di avvio di una carriera. Sono troppi, e molti pianisti non hanno più il tempo di maturare. I ragazzi studiano soltanto per la competizione, che finisce per diventare ogni volta un super-esame da superare. Quali sono i concorsi che contano ancora? Il "Leeds", perché offre una carriera: chi vince ha la facoltà di dimostrare per tre anni il proprio valore; il Concorso di Bruxelles ha una grande tradizione, lo "Chopin" di Varsavia ha sempre i riflettori puntati, e il "Ciaikovsky", finché sarà presente la scuola russa, continuerà ad essere prestigioso. Sul fronte americano c'è soltano il “Van Cliburn”. In Italia mi sembra che il “Micheli” abbia ricevuto un'investitura importante con la presenza in commissione di Maurizio Pollini. Sul "Busoni" bisogna vedere che cosa accadrà nei prossimi anni. Può darsi che s'inserisca fra i concorsi ordinari di pianoforte, come quello di Monaco. Sono estremamente pessimista sulla scelta di renderlo biennale. Il "Busoni" è sempre stato un concorso per virtuosi, che posseggono tutto il repertorio tradizionale con qualche cauta apertura; ma il vincolo della musica contemporanea frustra i pianisti e taglia fuori molti concorrenti potenziali. Un consiglio all'attuale direttore artistico Andrea Bonatta? Io manterrei solo il concorso. L'abbinamento concorso e festival porta un ulteriore elemento di disturbo nella percezione dell'opinione pubblica, così come i concorsi che sono diventati multidisciplinari hanno perso la loro connotazione storica, vedi Ginevra. La chiarezza d'identità è una priorità assoluta. E invece hanno abbandonato la strada dei fondatori, e non si può prescindere dalle indicazioni di artisti come Benedetti Michelangeli. Il programma delle prove che ho adottato io era lo stesso che Benedetti Michelangeli aveva copiato da Ginevra e da Bruxelles. È rimasto lo stesso sino agli anni Novanta. Fondamentalmente il repertorio è quello di Listz, un capisaldo è la forma-sonata. E la musica contemporanea rimaneva comunque a margine, non pesava mai nella valutazione, neanche uno studio di Ligeti, per quanto importante, o la seconda Sonata di Boulez hanno mai contato per far passare un candidato.

 

 

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