Suonare News 0 2003 Sei corde
 

Il “Capriccio” di Josefina
di Angelo Gilardino

Ho già presentato in queste colonne la nuova biografia di Tárrega scritta dal chitarrista Adrián Rius Espinos, il quale ha appena pubblicato anche un’edizione di alcune opere tarreghiane – le più famose e frequentemente eseguite – basata sui manoscritti del Museo Tárrega di Vila Real. Ho letto questa nuova edizione, utile sia per i testi musicali – che peraltro non differiscono in modo significativo da quelli delle edizioni d’epoca – sia per lo scritto introduttivo, in cui Rius suggerisce interpretazioni specifiche degli abbellimenti. Il nuovo volume contiene in appendice una breve biografia di una delle figure più significative del circolo tarreghiano, quella di Josefina Robledo, ed è arricchito da un Cd con alcune registrazioni di brani del maestro eseguiti dalla sua più fedele allieva. Josefina Robledo nacque a Valencia nel 1892 e morì a Godella nel 1972. Alunna di Tárrega, che era amico di famiglia, esordì quindicenne con un concerto al conservatorio valenciano, nella stessa sala in cui, ottantenne, avrebbe dato la sua ultima pubblica esibizione, pochi mesi prima della sua scomparsa. Il Cd allegato al libro di Rius offre, dopo le esecuzioni della Robledo, la registrazione del discorso che ella tenne per commemorare il suo grande maestro: è quindi un documento prezioso. Con voce sorprendentemente fresca – nonostante l’età – e con un tono aggraziato e maestoso al tempo stesso, in cui appena si percepisce l’accento valenciano, l’anziana gentildonna apre lo scrigno dei suoi ricordi infantili, dove l’insigne e indifeso Tárrega aleggia come un nume benigno: Josefina, poco più che una bimba, gli era allieva, ma anche infermiera solerte e amorevole, nei periodi in cui il maestro si trasferiva in casa Robledo. Lo stesso – anche se a narrarcelo non sono documenti scritti, ma racconti che abbiamo ascoltato da testimoni – avveniva in casa García, dove il piccolo Salvador, figlio del proprietario della locanda Pancha Verda, veniva istruito da Tárrega in cambio dell’ospitalità che il padre offriva al maestro. Questa relazione familiare con gli allievi e con i loro genitori ci dice molto dell’indole bonaria e bisognosa d’affetto del grande chitarrista, che cercava la tranquillità più che la gloria. La Robledo suonava spesso in duo con il suo eccelso insegnante, e quando questi morì, intraprese la vita della concertista. La sua carriera si svolse soprattutto in Sud America. Si stabilì a Buenos Aires e girò Argentina, Paraguay, Brasile, non soltanto come concertista, ma anche come etnomusicologa. Nelle sue visite alle località più sperdute, fino ai bordi delle foreste amazzoniche, usava annotare i motivi e i ritmi delle musiche indigene. Era, in quei paesi, una celebrità: ce lo conferma il pur arcigno Domingo Prat. Dopo dieci anni di vita d’artista nell’America Latina, la Robledo tornò in Spagna. E lì la sua vita cambiò: «El Amor, dominante y egoista, la ha apartado de su contacto con el público», commenta il Prat, e la biografia or ora pubblicata delicatamente ce lo conferma. Recatasi a Martos, vicino Jaén, per darvi un concerto, nel presidente della società che l’aveva invitata, Ricardo García de Vargas, trovò l’uomo della sua vita e, sposatasi con lui, rinunciò alla vita errabonda della concertista per dedicarsi alla famiglia. García de Vargas è l’autore dello scritto biografico pubblicato nel libro di Rius. Medico, egli a sua volta rinunciò alla sua sede di lavoro madrilena per offrire alla moglie il dono del ritorno nella terra degli avi, e i due coniugi si stabilirono a Godella, vicino a Valencia, approdo di pace per il quale valeva bene, secondo Josefina Robledo, dare un addio alle luci della ribalta. Non smise mai di suonare, racconta il biografo di casa: ogni giorno studiava intensamente, faceva trascrizioni o si occupava degli allievi che, soprattutto dall’America Latina, venivano a chiederle lezioni. Che non avesse appeso la chitarra alla parete è evidente dalle incisioni che si ascoltano nel Cd: la registrazione è di modestissima qualità, ma non impedisce di apprezzare la strabiliante lucidità di un’anziana signora che affronta impavida le pagine composte dal venerato Tárrega (Lágrima, Preludio n. 1 en Re menor, Preludio n. 2 en La menor, Preludio n. 5 en Mi mayor, Capricho Arabe) con mano sicura. Non sono tra coloro che ritengono di poter rintracciare in queste esecuzioni l’impronta e il carattere dell’arte di Tárrega, perché l’arte di ogni interprete è esclusiva. Ma è certo che, nell’interpretazione appassionata e insieme austera della Robledo, si percepisce un messaggio forte e immediato, come di chi parli la propria lingua madre per dire qualcosa di cui è totalmente convinto. E quindi, convincente.

 

 

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