Suonare News 0 2003
 

Beati i secondi
di Filippo Michelangeli

Il “Busoni” cambia formula, ma la musica è sempre la stessa. Alla prestigiosa rassegna altoatesina, da sempre avara di primi premi, non è bastato diventare biennale per trovare un vincitore. E così l’edizione di quest’anno, dopo una preparazione durata 24 mesi, è finita a settembre con una deludente fumata nera. Medaglia d’argento alla 29enne russa Maria Stembolskaia e terzi, a pari merito, il 17enne cinese Mu-Ye Wu e la 29enne russa Lyubov Gegechkori. Ma vediamo di raccontare com’è andata questa 54ma edizione del più blasonato Concorso pianistico italiano. Facciamo prima un passo indietro e torniamo al 2001 quando s’impone il 17enne ucraino Alexander Romanovsky con un travolgente “Rach 3”. È una bella finale e, soprattutto, cancella il ricordo dell'anno precedente, quando la commissione fece salire sul podio soltanto un modesto terzo premio, lasciando vacante il primo e il secondo posto. Questa volta, invece, Bolzano regala a Romanovsky, giovane e pieno di talento il privilegio di scrivere il suo nome nell'albo d'oro del “Busoni” accanto a quelli di Marta Argerich, Louis Lortie e Roberto Cominati. Nelle settimane seguenti l’organizzazione del Concorso decide inaspettatamente di cambiare formula. Dopo 53 edizioni dice addio alla cadenza annuale e opta per la biennalità. Si dice che viene fatto per il bene del “Busoni”, per lasciare più tempo ai candidati di prepararsi e per alleggerire il super affollato calendario concorsistico mondiale. La speranza, naturalmente, è rilanciare la rassegna sulla scena internazionale e consegnare al mondo musicale un vincitore di qualità. Il direttore artistico Andrea Bonatta predispone un'inedita formula di selezione. Negli anni pari si svolge una prima fase eliminatoria aperta a tutti dalle quale vengono scelti 24 concorrenti che rimangono "surgelati" per 12 mesi e ai quali si affiancano 3 vincitori di concorsi internazionali iscritti alla Federazione di Ginevra scelti per meriti artistici. Tutti e 27 accedono, negli anni dispari, alle fasi finali del concorso riducendosi via via a 12, 6 e finalmente, ai magnifici 3 che si sfidano nella finalissima con orchestra. La formula scatena subito le prime polemiche. C’è chi teme che i concorrenti prescelti possano, nell'arco di un anno, maturare nuove esperienze e rinunciare alle fasi finali. Inoltre, come verranno selezionati i tre vincitori di concorsi di Federazione? E il pubblico dei bolzanini, da sempre il dodicesimo uomo nella squadra del “Busoni”, saprà tenere duro per due anni? I concorrenti intanto apprezzano e s’iscrivono in massa. Oltre 150 pianisti da tutto il mondo mandano la domanda e poco più di cento si presentano ai blocchi di partenza. Nell'agosto 2002 inizia la gara. La commissione lavora per due settimane e alla fine rispedisce a casa 80 ragazzi. Per 24 di loro, invece, si aprono le porte delle finali. E i tre vincitori di concorsi? Vengono scelti Hisako Kawamura (1° premio al “Casagrande”), Roberto Plano (1° premio “Cleveland”) e Boris Giltburg (2° premio a Santander). Passa un anno. Viene reso noto l'elenco dei magnifici 27 e qualcuno incomincia a storcere il naso. Nomi grossi, infatti, non se vedono. Ma ai concorsi, si sa, le sorprese non mancano mai e chissà che dietro alla nutrita schiera di pianisti dell'ex Unione Sovietica e della Cina non si nasconda qualche stella di prima grandezza. Intanto dei 24 selezionati tre non si presentano, una riduzione fisiologica che allontana lo spauracchio di una defezione più massiccia. Qualche problema in più arriva dai 3 vincitori di concorsi. La Kawamura, infatti, rinuncia e al suo posto viene nominata Maria Stembolskaya (2° premio all'“Iturbi”), mentre Giltburg prima dell'estate annuncia che non si presenterà. Dopo la prima prova vengono selezionati una dozzina di semifinalisti: sono gli italiani Giuseppe Albanese, Alessio Cioni, Alberto Ferrari, Roberto Plano e Mariangela Vacatello, i cinesi Di Wu e Mu-Ye Wu, le russe Lyubov Gegetchkori e Maria Stembolskaia, il coreano Jong-Hwa Park, il taiwanese Chun-Chieh Yen e il neozelandese Henry Wong Doe. La presenza di 5 italiani su 12 fa ben sperare per i nostri colori. Le maggiori aspettative sono riposte su Roberto Plano, fresco vincitore a Cleveland di uno dei massimi concorsi americani e su Mariangela Vacatello, temperamentosa pianista napoletana già primo premio a Utrecht. Non la pensa così la commissione che, a sorpresa, fa accedere alla prima finale con orchestra: Cioni, Ferrari, la Gegechkori, Park, la Stembolskaia e Wu. Il concerto di Mozart, obbligatorio nella prova, non porta fortuna agli italiani, che masticano amaro e lasciano il passo alle due coetanee russe, le 29enni Gegechkori e Stembolskaia e al giovanissimo cinese Mu-Ye Wu, appena 17enne. Ma eccoci, finalmente, alla attesissima finale. L'Auditorium "Haydn" di Bolzano è gremito. Dopo due anni di astinenza i bolzanini hanno ancora voglia di sentirsi l'ombelico mondiale del pianoforte. Come sempre il concerto è trasmesso in diretta radiofonica sul terzo canale e in televisione su Rai Sender Bozen. Alle 20 e 30 un sontuoso gran coda Steinway e l'orchestra "Haydn" sono già schierati sul palcoscenico. Un grande applauso saluta l'ingresso del cinese Mu-Ye Wu e del direttore d'orchestra tedesco Michale Güttler. Wu porta il Concerto n. 1 di Ciaikovsky, uno dei capolavori del pianismo tardo romantico russo, prediletto nelle finali dai concorrenti di tutto il mondo per il suo spettacolare virtuosismo unito a un'orchestrazione che sa accendere come nessuno gli animi del pubblico. Le acrobazie ciaikoskiane, tuttavia, non sono nelle corde del giovane cinese. Il tocco è pesante, meccanico, le dinamiche sono compresse tra il mezzo forte e il forte, sbaglia tanto, forse troppo. Ma è soprattutto l'ispirazione musicale a lasciare a desiderare. Tutto sembra costruito a tavolino, un prefabbricato le cui fondamenta cedono nel delicato secondo tempo, dov’è difficile non sbadigliare. Non l’aiuta l'Orchestra "Haydn" guidata da un direttore che, forse per mancanza di esperienza, lascia le briglie sciolte ai professori, il cui impeto finisce più volte per soffocare il pur possente Mu-Ye Wu. Per seconda passa la russa Lyubov Gegechkori, 29 anni. Suona il Secondo di Rachmaninoff. Come e più del temibile “Rach 3”, il Secondo in Do minore dell’autore russo gode di un'intramontabile popolarità tra i virtuosi per la sua strepitosa scrittura pianistica, sempre stupefacente ma perfettamente idiomatica. Il pubblico dal canto suo non sa resitere alla cantabilità ampia e struggente dei temi del Concerto e non si contano i film di Hollywood che hanno attinto a piene mani al suo inesauribile giacimento di melodie. La Gegechkori è una professionista. Ha un ottimo controllo tecnico, stacca tempi prudenti e porta a casa una prova di buona qualità. Purtroppo ha un suono piccolo, poco "centrato", che non riesce a bucare la trama sempre ridondante dell'Orchestra "Haydn". Ci sono lunghi tratti in cui le mani corrono veloci sulla tastiera, il pubblico conosce a memoria il passo, ma il pianoforte non si sente. Nei momenti più lirici la Gegechkori è sempre molto controllata, anche quando le melodie di Rachmaninoff reclamano una maggiore libertà poetica. Per ultima suona la russa Maria Stembolskaia, anche lei 29enne. Ha scelto il 1° Concerto di Chopin. Finalmente sentiamo un bel suono e un'orchestra decisamente più a suo agio. La Stembolskaia ha un'innata cantabilità, sbaglia pochissimo e offre l'interpretazione senza dubbio più convincente. Tuttavia è molto emozionata – chi non lo sarebbe a una finale del "Busoni"? – e arriva al terzo movimento con le pile scariche. Meno male che Chopin non ha aggiunto un quarto tempo, perché la minuta ragazza di Baku non avrebbe retto altri cinque minuti. Il pubblico applaude convinto richiamandola sul palcoscenico più volte e dal fondo dell'Auditorium si alzano alcuni "brava". Come dire, i bolzanini hanno già deciso. Sono le 22,30 e la Commissione si ritira per deliberare. Nelle edizioni precedenti sono diventate proverbiali le lunghe attese prima di arrivare al verdetto. A volte anche due ore per far uscire dal conclave una fumata spesso nera. Questa volta la Commissione accetta di farsi riprendere da una telecamera che trasmette nel ridotto dell'Auditorium i giurati che discutono. L'audio naturalmente è azzerato, insomma lo scrutinio rimane segreto, ma il Grande fratello fa il suo ingresso anche al "Busoni". Bastano 45 minuti alla squadra di Bonatta per emettere il verdetto. Ma il pubblico, forse deluso dalla finale, questa volta non è rimasto ad aspettare. E quando il presidente presenta la Commissione e legge gli esiti in sala non ci sono più di cento persone. Come di consueto si parte dal sesto classificato Alessio Cioni, quinto Alberto Ferrari, quarto il coreano Jong-Hwa Park, terzi – pari merito – il cinese Wu e la russa Gegechkori, seconda Maria Stembolskaia che ha ricevuto anche il premio del pubblico. Il primo non è stato assegnato. Nessuno è sorpreso, qui funziona così. Alexander Romanovsky resta il detentore del Premio Busoni. Tra due anni Bolzano proverà ancora a trovare il suo erede. BOX 1 54° Concorso pianistico internazionale “Busoni” Bolzano, 27 agosto - 6 settembre 2003 I numeri Iscritti: 150 Partecipanti: 102 Semifinalisti: 23 Finalisti: 12 Montepremi: e 52.000 Sul podio 1° non assegnato, e 22.000 2° Maria Stembolskaia (Russia), 29 anni, e 10.000 3°, a pari merito, Lyubov Gegechkori (Russia), 29 anni, e Mu-Ye Wu (Cina), 17 anni, e 5.000 ciascuno 4° Jong-Hwa Park (Corea), 29 anni, e 4.000 5° Alberto Ferrari (Italia), 27 anni, e 3.000 6° Alessio Cioni, 24 anni, e 2.500 Miglior interpretazione Busoni: Jong-Hwa Park, e 1.500 Miglior interpretazione Mozart: Maria Stembolskaia, e 2.000 Miglior interprete XX secolo: Giuseppe Albanese, e 1.500 Premio del pubblico: Maria Stembolskaia, e 1.500 La giuria (11 membri) Andrea Bonatta, pres. (Italia), Paul Badura-Skoda (Austria), Dario De Rosa (Italia), Irwin Gage (Usa), Valentin Gheorghiu (Romania), Andrea Lucchesini (Italia), Jürgen Meyer-Josten (Germania), Agostino Orizio (Italia), Arie Vardi (Israele), Lilya Zilberstein (Russia), Xu Zhong (Cina) BOX 2 Intervista con Andrea Bonatta “La qualità? Non fa sconti a nessuno” Andrea Bonatta, 51 anni, pianista, docente al Conservatorio di Bolzano, è da pochi anni direttore artistico del Concorso "Busoni". A lui si deve l'introduzione della nuova formula biennale e delle selezioni diluite in un biennio. C'erano grandi aspettative sulla prima edizione del "Busoni" in versione biennale. Adesso che è finito, qual è il bilancio del nuovo corso? Per me è positivo. Mi sembra che tutto abbia funzionato benissimo. Ho sempre pensato a questa suddivisione (un anno per le preselezioni e un anno per le fasi finali) come a una formula un po' critica. All'inizio credevo che fosse un'era di transizione verso modalità diverse. E sarei pronto anche a fare un passo indietro se mi accorgessi di avere sbagliato. Ma così i candidati sono arrivati preparati e molto motivati. Eppure qualcosa non ha funzionato, insomma il vincitore quest'anno non è arrivato... Al "Busoni" puntiamo all'eccellenza. E la grande qualità non fa sconti a nessuno. Quando c'è, bene, sennò preferiamo aspettare. D'accordo, ma allora a cosa è servito rendere il "Busoni" biennale? Il "Busoni" è una macchina imponente, pensi che in un anno il vincitore non riesce neanche a smaltire tutti i concerti collegati alla vincita del primo premio. Diventare biennale era un'opzione nell'aria da anni, finalmente la decisione è stata presa. Nessun italiano è arrivato alla finalissima. Eppure c'erano musicisti di rilievo. Giovani con un curriculum da fare invidia come Mariangela Vacatello, Giuseppe Albanese e campioni come Roberto Plano. Perché l'Italia arranca ancora dietro la nuova Cina e alla solita Russia? Non esistono né Italia, né Cina, né Russia. Esistono individui che suonano il pianoforte. Non vedo una crisi della scuola italiana. Anche perché su sei candidati alla prima finale due erano italiani (Alessio Cioni e Alberto Ferrari). Per emergere occorre una grossa individualità, al di là della nazionalità, che deve riuscire a convincere la giuria. Faccio fatica a ridurre un concorso di questo genere a dati statistici. Nella commissione di quest'anno quattro giurati su undici erano italiani (Bonatta, De Rosa, Lucchesini e Orizio). Per una volta si giocava in casa. Con il nuovo corso sono cambiate le regole di valutazione della commissione? C'è stato un aggiustamento nel modo di votazione già usato nel 2001. Sull'esperienza dello “Chopin” di Varsavia votiamo sì, no o astenuto, nel caso di un proprio allievo. La scheda è divisa in due parti: nella prima si vota sì, no o astenuto; la seconda, che viene aperta solo nel caso di parità, contiene una votazione numerica. Perché allora Lilya Zilberstein si è lamentata che sono stati tolti i voti più alti e più bassi? Perché è la prima volta che fa parte di una giuria. Il 90 per cento dei concorsi adotta le nostre regole. Quando si arriva con i sei candidati in finale, allora c'è solo votazione numerica: nella prima prova con orchestra votiamo tra sette e dieci e nella seconda prova con orchestra votiamo tra otto e dieci. Quando ci sono due dieci uno si toglie e quando ci sono due voti minimi, uno viene tolto. Di questo Lilya si è meravigliata, per quanto abbia avuto il regolamento un mese prima di venire al concorso. Comunque la Zilberstein rimane una giurata eccezionale. Per assegnare il primo premio vale sempre la regola durissima dei 10 voti favorevoli su 11? Sì. Quest'anno ha debuttato la formula dei 24 candidati scelti dalla commissione e tre vincitori di concorsi iscritti alla Federazione di Ginevra. Pensa di ripresentarla anche per la prossima edizione? Non vedo perché no. Credo sia nell'interesse del "Busoni" concedere la possibilità a chi ha già vinto un primo o secondo premio in competizioni importanti di accedere direttamente alla fase finale senza passare dalla preselezione. Un tempo si diceva «un primo premio al “Busoni” non si discute, s’ingaggia». Eppure oggi le gare internazionali sono molte e sembra necessario vincerne più d'una. Quali sono oggi i concorsi che contano? Non sono più di una decina: ai primi posti metterei il “Van Cliburn” di Fort Worth, il “Rubinstein” di Tel Aviv, il “Queen Elizabeth” di Bruxelles, lo “Chopin” di Varsavia, il “Leeds” in Inghilterra e il “Busoni” a Bolzano. La nostra ambizione è rimanere tra questi. In questi due anni che hanno preceduto il "Busoni" il suo predecessore Hubert Stuppner ha espresso forti riserve sulla nuova formula. Adesso che è finito che cosa si sente di rispondere? Era venuto il momento di porsi seriamente il problema del contesto internazionale in cui il “Busoni” oggi si colloca. Proseguire una tradizione immutabile sine die sarebbe stato irresponsabile. E poi voglio precisare che questo non è il mio “Busoni”. C'è stato un dibattito all'interno del comitato – adesso fondazione – proprio sulle possibilità di essere a livello di altri grossi concorsi internazionali. Comunque mi sento tranquillo. Sicuramente andremo avanti cercando di fare ancora meglio. Anni fa i candidati potevano scegliere lo strumento su cui esibirsi. Oggi in finale ci sono due magnifici Steinway. In futuro pensate di dare ancora ai ragazzi la possibilità di scegliere il proprio pianoforte? Abbiamo avuto esperienze non proprio felici con tre pianoforti di marche diverse sul podio. Ci sono state tensioni, candidati che forse sono stati indotti a suonare un determinato strumento. Adesso abbiamo due bellissimi Steinway, uno di Amburgo e uno di New York, con caratteristiche leggermente diverse. E così non abbiamo più problemi. La città ha saputo aspettare due anni o si è allentata la tensione? Per tre giorni abbiamo avuto il tutto esaurito. Il pubblico è più vivo che mai. Ci contesta, ci ama, fa sentire la propria voce. Vive l'evento anche più di prima. Forse con la formula biennale è stata creata quell’attesa che ha alimentato le aspettative. Quanti si erano iscritti ai blocchi di partenza? Abbiamo ricevuto 150 iscrizioni. Di questi 102 sono venuti a fare le preselezioni. Hanno suonato 35 minuti ciascuno. Sono stati selezionati dalla commissione dell'edizione precedente. Il verdetto della serata finale si basa soltanto sulla prova dell’ultima sera? No. Come cita il nostro regolamento «I voti al termine della prova finale solistica e della prova finale con orchestra si intenderanno come valutazione complessiva dei candidati, tenuto conto anche delle prove precedenti». BOX 3 Tutti i vincitori del “Busoni” Russia-Italia: 5 a 4 1952 Sergio Perticaroli (Italia) 1953 Ella Goldstein (Usa) 1954 Aldo Mancinelli (Italia) 1956 Jörg Demus (Austria) 1957 Martha Argerich (Argentina) 1961 Jerome Rose (Usa) 1964 Micheal Ponti (Usa) 1966 Garrik Ohlsson (Usa) 1968 Vladimir Selivochin (Russia) 1969 Ursula Oppens (Usa) 1972 Arnaldo Coen (Brasile) 1974 Robert Benz (Germania) 1976 Roberto Cappello (Italia) 1978 Boris Bloch (Usa) 1979 Catherine Vickers (Canada) 1981 Margarita Höhenrieder (Germania) 1984 Louis Lortie (Canada) 1985 José Carlos Cocarelli (Brasile) 1987 Lilya Zilberstein (Russia) 1992 Anna Kravtchenko (Ucraina) 1993 Roberto Cominati (Italia) 1994 Mzia Simonishwili (Georgia) 1995 Alexander Shtarman (Russia) 1999 Alexander Kobrin (Russia) 2001 Alexander Romanovsky (Russia)

 

 

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