Suonare News 0 2003 Sei corde
 

Vi spiego Bach, parola di chitarrista
di Angelo Gilardino

Nella storia dell’interpretazione bachiana, quale posto occupano i chitarristi? Si potrebbe, con sbrigativo cinismo, rispondere: nessuno, e purtroppo non si andrebbe lontano dal vero. Nulla infatti, nella musica di Bach, è stato rivelato da una categoria di interpreti che, avendo fatto dell’inevitabile trascrizione una porta di servizio e non un trampolino per i voli dell’immaginazione, hanno quasi sempre recitato parti secondarie, ben lontane dalle altezze raggiunte da maestri del calibro della Tureck o di Gould. Nei casi migliori, i chitarristi si sono dignitosamente accodati, ma non hanno mai saputo dire una parola fresca, originale, suadente, che ponesse il loro Bach in una prospettiva vittoriosa, e le loro interpretazioni sono rimaste chiuse nell’ambito di un’arcadia fatta tutta di chitarristi, che si elogiano o si biasimano vicendevolmente, senza che alcuno, dall’esterno della loro piccola accademia, s’interessi al “loro” Bach. Certo è che in nessun altro mondo musicale, piccolo o grande, ricorre spesso, come in quello della chitarra, la locuzione “Bach non si suona così”, detta da qualunque chitarrista a qualunque altro chitarrista. Ma, alla fine, la rivelazione positiva di come questo Bach s’abbia a suonare sembra allontanarsi sempre più. Tutto questo deve aver compreso perfettamente Eduardo Fernandez, chitarrista eccellente uscito dalla fucina uruguayana con il marchio Carlevaro-Santorsola, e poi evolutosi con caratteristiche proprie, che si è guadagnato fama universale con i suoi concerti e le sue incisioni. All’interpretazione bachiana egli apporta ora un contributo speciale, che va oltre la sua arte di chitarrista, e si pone come studio estetico, con un volume intitolato Ensayos sobre las obras para laúd de J.S. Bach (Ediciones Art, Montevideo, Uruguay, 2003). Il saggio è diviso in cinque parti. Ne traduciamo letteralmente i titoli: 1) Dialogo introduttivo; 2) Discorso musicale e retorica in Bach: due esempi (Preludio della Suite II, BWV 997, Allegro del “Preludio, Fuga e Allegro”, BWV 998); 3) Un tentativo di approssimazione semantica: le due fughe “da capo”; 4) Sull’ornamentazione libera; 5) Il caleidoscopio dei motivi. Seguono le note, una postilla intitolata Figurenlehre e numerologia e una scarna bibliografia. Non è facile riassumere in poche righe il senso dell’interpretazione bachiana di Fernandez. Posso dire che consiste, da un lato, in un’operazione riassuntiva delle conoscenze fin qui acquisite (ma non certo di pubblico dominio) e dall’altro lato in una proposta di lettura fondata su un particolare tipo di analisi. Il riassunto è svolto nel dialogo introduttivo tra maestro e allievo. Qui, in forma colloquiale, si fa il punto della situazione riguardante le principali questioni esistenti intorno alla musica per liuto di Bach e, più in generale, intorno all’arte bachiana. È un modo bonario per far passare sotto gli occhi del lettore questioni dottrinali che non è possibile eludere, se si vuole accedere allo studio delle composizioni con una certa cognizione di base. Nel secondo capitolo, l’autore cala i suoi assi, collegando l’analisi musicale classica a una serie di categorie retoriche da lui istituite, nelle quali il linguaggio musicale svolge funzioni affini a quelle del discorso parlato: introduzione, tesi, argomenti a favore della tesi, argomenti contro la tesi, confutazione degli argomenti contro la tesi, conclusione e ristabilimento della tesi. Egli si spinge al punto di suggerire “realizzazioni” di tali funzioni, proponendo, per analogia, un discorso politico (e nel fare ciò, rivela anche una notevole vena umoristica). Nel terzo capitolo, Fernandez si addentra in una lettura semantica della Fuga della Suite II in chiave teologica, analizzando gli intervalli del soggetto, e ogni aspetto formale della costruzione, come latori di un messaggio religioso – ed è certamente questa la parte più arditamente speculativa del capitolo, per il resto dedicato alla Fuga in Re maggiore. Di carattere più esplicitamente tecnico-musicale è il capitolo dedicato all’ornamentazione libera, trattata con una forte impostazione storicistica e, secondo me, magistralmente. Nel quinto capitolo, l’autore torna a una interpretazione mistico-simbolica, leggendo i motivi delle composizioni con riferimento a significati trascendenti, che egli desume e dimostra con schematica efficacia. È probabile che qualche esponente delle scuole di analisi musicale possa accusare lo studioso di ingenuità. Io ho letto invece il suo saggio come il frutto di un’intelligenza speculativa ammirevole, e mi piacerebbe che tutti gli interpreti di Bach – non soltanto i chitarristi – avessero le idee altrettanto chiare. Una traduzione italiana? Forza, editori!

 

 

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