Suonare News 0 2004 Sei corde
 

Quanti omaggi alla chitarra
di Angelo Gilardino

Suonare news ha regalato quest’anno agli abbonati un disco del pianista Maurizio Baglini che reputo di grande utilità e di sommo interesse per i chitarristi. Il programma del cd comprende infatti parecchie composizioni che, considerate periferiche nel ricchissimo repertorio del pianoforte, sono invece diventate centrali nel repertorio della chitarra, grazie a un accumulo di trascrizioni iniziate nella seconda metà dell’Ottocento da Francisco Tárrega, e poi proseguite nell’opera di maestri quali Llobet, Segovia ed epigoni vari. Mi riferisco soprattutto alle pagine minori di Isaac Albéniz e di Enrique Granados, che i pianisti propongono raramente. Ma tutto il recital di Baglini è un omaggio alla musica spagnola, e anche le pagine che non sono state trascritte (non ancora) profumano di chitarra dalla prima all’ultima battuta. Prima del famoso Isaac, vi fu un altro Albéniz, maestro di cappella nel nord della Spagna, che scrisse anche musica per pianoforte. Conosco solamente la sua Sonata, tanto piacevole quanto anacronistica, che potrebbe essere uscita dalla penna di Soler, se non addirittura da quella di Domenico Scarlatti. Confesso che l’ho ascoltata, molti anni fa, da un chitarrista prima che da Alicia de Larrocha. Fino a ieri, preferivo la versione per chitarra, timbricamente più caratterizzata. Baglini fa piazza pulita di ogni concorrenza chitarristica, staccando un tempo che conferisce al brano un vigore indiavolato e ne spiega insieme tutta la preziosa fragilità. È un pezzo da tastiera, inutile forzarlo. Il programma del cd attribuisce all’autore il nome di Matias. Io lo conosco invece como Mateo. Peccato che non abbia scritto altre cinquecento sonate come questa. Dell’Albéniz vero e proprio, Baglini interpreta tre pezzi che i chitarristi conoscono fin troppo bene. Asturias è un piccolo capolavoro che di sbagliato ha soltanto il titolo, peraltro non originale. Si tratta di una fine elaborazione di granadinas flamenche (dunque niente a che vedere con la musica regionale delle Asturie), nella quale l’estrosissimo autore volle trascinare un recalcitrante pianoforte che stenta nella scansione degli accordi strappati, troppo chiaramente chitarristici. Nemmeno Baglini, con la sua scintillante bravura, riesce a prendere le strappate a tempo, e nella copla centrale non è colpa sua se il suono risulta troppo esplicito e privo di mistero. La chitarra che non c’è prende il sopravvento, nella mente di chi ascolta, su un pianoforte dannato a recitare una parte non sua. Tutt’altro discorso per la serenata intitolata Granada. Baglini la fa assaporare nel suo incedere evocativo, fasciando la melodia di accordi sfumati e risonanti, là dove la chitarra, dopo aver mezzo dissanguata l’armonia, la addossa al canto con un suono pettegolo e impertinente, da banda rurale. Ma qui bisogna lodare l’arte del pianista, che ha trattato Granada come un’immagine sonora lontana, mitizzandola nel suono dei Préludes debussiani (che, immagino, suonerà benissimo). Per lui, fare i conti con la Malagueña intitolata Rumores de la caleta dev’essere stato un azzardo, perché sul pezzo si proietta l’ombra della miracolosa incisione di Benedetti Michelangeli. Mentre il sommo maestro bresciano fece della pagina albeniziana una languida visione pomeridiana, trasformando la sua caleta in un luminoso deserto metafisico, Baglini accetta il suggerimento implicito nel titolo. Che diavolo erano i rumores evocati da Albéniz? Quelli delle onde marine che lambivano dolcemente la spiaggia? Per niente: attorno alle caletas sorgevano infatti le ventas e, dai chioschi e dai carretti, i venditori lanciavano verso i bagnanti assopiti nella sabbia i loro richiami, cantilenandoli sui melismi delle scale modali – soprattutto sul tetracordo discendente della scala frigia. Ecco quindi, nella Malagueña di Baglini, rispetto a quella di Benedetti Michelangeli, un ritorno all’umano. Chitarristi, non vi dico proprio niente della vostra trascrizione. Ascoltate e fate voi. Non dico nulla del Bolero di Chopin e delle pagine spagnole di Saint-Saëns e di Busoni, che non fanno parte del mio tema. Dei pezzettacci di Gottschalk si può dire che non sono ancora stati trascritti per chitarra, ma è probabile che il disco di Baglini induca qualche novello Tárrega in gravi tentazioni. Il Fandango che ispirò Padre Soler è quello famoso, adoperato anche da Boccherini e da Aguado. Chi fu il primo compositore “serio” ad adottarne il motivo? Allo stato attuale delle mie ricerche risulta che fu – non ci crederete – Gluck. Il disco finisce con due pezzi di Granados, uno dei quali – la Danza n. 5, Andaluza – si suona benissimo anche con la chitarra, nel cui repertorio è un pezzo di media difficoltà. In quello pianistico, è un difficilissimo pezzo facile. Sia da suonare che da ascoltare.

 

 

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