Suonare news 0 2004 Sei corde
 

Ecco due cd da non perdere
di Angelo Gilardino

Scoprire e far conoscere il repertorio: è l’unico modo per scongiurare l’emarginazione di uno strumento e di coloro che lo suonano. Uno strumento in quanto tale può avere un periodo di fortuna, per merito di uno straordinario virtuoso, ma se manca di repertorio tornerà presto nell’ombra. La chitarra ha repertorio, e può quindi rimanere nella luce di cui l’ha investita il Novecento, evitando una delle eclissi di cui è costellata la sua storia. Occorre però che i virtuosi e gli interpreti facciano il loro lavoro, rivelando il repertorio e non continuando ad alimentare, della chitarra, un’immagine incerta ed equivoca. Il repertorio si rivela con due tipi di azioni: presentando musiche sconosciute e meritevoli e ripresentando in modo nuovo musiche già conosciute. I due dischi di cui scrivo – e che ho appena ascoltato – sono esemplari dell’una e dell’altra tendenza. François de Fossa (1775-1849) è una figura di chitarrista-compositore alla quale la storiografia ha fatto torti gravissimi, riducendone l’immagine a quella di uno zelante famiglio di Dionisio Aguado (del cui Metodo de Fossa fu il traduttore in lingua francese). Il fatto è che Aguado era un agiato possidente che viveva di rendita incassando le prebende pagategli dai contadini suoi affittuari, mentre de Fossa dovette guadagnarsi la vita facendo l’ufficiale, prima nell’esercito spagnolo, poi in quello degli occupanti francesi (che importa, pur di potersi dedicare alla chitarra e alla composizione!). Lo spedirono perfino in Messico, e non certo a dar concerti di chitarra. Si lamentava, nelle sue lettere, di non poter campare di musica. A rivelarci che eravamo, nei confronti della sua opera, sprofondati nell’ignoranza più nera, fu Matanya Ophee, con un saggio pubblicato nel 1981 e con le successive edizioni delle opere per e con chitarra del maestro di Perpignan. Altro che Aguado – che non scrisse nemmeno una nota fuori dall’orticello della composizione per chitarra sola! De Fossa era un fior di compositore, degno di Boccherini (i cui quintetti con chitarra, tra l’altro, ci sono pervenuti proprio grazie a una copia di Fossa, altrimenti li avremmo perduti). Ce ne rendiamo pienamente conto ascoltando il magnifico cd appena messo in commercio da Stradivarius, contenente i Trois Quatuors op. 19, con l’insolito organico formato da due chitarre, violino e violoncello. In realtà, sono quartetti costruiti come trii per violino, violoncello e un pianoforte reso più aereo, delicato e sensibile dalla sostituzione con il duo di chitarra, trattato con mano maestra da un compositore che, già a quell’epoca, era attentissimo al timbro e ai suoi valori. Gli interpreti: Matteo Mela e Lorenzo Micheli (la cui brillantissima attività solistica non gl’impedisce di dedicarsi anche alla musica da camera), chitarristi, Ivan Rabaglia, violinista, Enrico Bronzi, violoncellista. Lorenzo Micheli ha scritto anche le note di presentazione del programma, utilissime per gli ascoltatori, che altrimenti non troverebbero notizie sul compositore. Piera Dadomo, chitarrista bresciana assai meno nota di quanto meriti, non esita a presentare un recital dedicato alla musica per chitarra di Manuel Ponce, compositore molto valorizzato nella discografia chitarristica degli ultimi vent’anni. Scelta temeraria, per un esordio discografico? Niente affatto: anzi, si tratta di un gesto compiuto con piena coscienza e con perentoria autorevolezza. Bastano poche battute del brano d’inizio (Sonatina Meridional) per rendere chiaro ed esplicito il fatto che l’interprete lascia risolutamente alle sue spalle tutta una tradizione manieristica e suona Ponce facendo piazza pulita di ciò che si è ascoltato in precedenza. L’ascolto del ciclo dei ventiquattro Preludios scorre via in un attimo, lasciando la gradevolissima sensazione che Ponce abbia concepito l’intero ciclo come un corpus organico, e non come una collezione di pezzi staccati. E poi, le Variations sur Folia de España et Fugue, anche queste rese nella loro essenza, nel pieno sviluppo della loro intriseca e contrastata dinamica e nelle più sottili nuances impressionistiche. L’esecuzione della Fuga è senz’ombra di dubbio, e di gran lunga, la migliore fin qui ascoltata in disco, ma mi sento di affermare che tutto questo cd fa avanzare di un bel passo l’immagine dell’autore, esaltandone le qualità stilistiche, la sapienza costruttiva e l’appartata, minoritaria (ma non per questo meno affascinante) poetica. Il disco è intitolato Rayos de sol y de luna, Homage to M.M. Ponce ed è pubblicato da Map. Siamo di fronte a due compact disc che gli appassionati delle sei corde devono mettere al più presto nella loro discoteca.

 

 

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