Suonare News 253 2018 Editoriale
 

Quel "signorile umanista toscano"
di Filippo Michelangeli

Tra gli anniversari che ricorrono nel 2018, accanto ai giganti della musica come il francese Claude Debussy (1862-1918), padre del pianismo moderno, il pesarese Gioachino Rossini (1792-1868), autore di melodrammi che tengono aperti i teatri di tutto il mondo, e il poliedrico direttore e compositore d’orchestra americano Leonard Bernstein (1918-1990) c’è un autore italiano, poco conosciuto, la cui produzione è di grande valore e la cui storia vale la pena di raccontare. Si chiama Mario Castelnuovo-Tedesco. Nato a Firenze il 3 aprile 1895, è morto a Beverly Hills, in California, il 16 marzo 1968, esattamente cinquant’anni fa. Cresciuto in un’agiata famiglia di origini ebree dimostra sin da piccolo una forte predisposizione alla musica. I genitori lo iscrivono presso il Conservatorio del capoluogo toscano. Mario studia pianoforte con Edgardo Del Valle de Paz e composizione con Ildebrando Pizzetti. Si diploma brillantemente in entrambe le discipline e intraprende una veloce carriera musicale che lo mette all’attenzione di Alfredo Casella, il primo a riconoscere il suo talento. Le sue opere iniziano ad essere rappresentate in Italia e in Europa e non da interpreti qualsiasi, ma da Toscanini, Heifetz, Piatigorsky, Gieseking, Gui e Segovia. Nel 1938 il regime fascista promulga sciaguratamente le leggi razziali. Castelnuovo-Tedesco è ebreo: lui e la sua famiglia sono in pericolo. Tuttavia egli non vuole fuggire, la sua natura da «signorile umanista toscano», come lo definì con efficacia Massimo Mila, glielo impedisce. Dopo mesi di penose pratiche burocratiche e con l’aiuto di un amico musicista entrato nel partito fascista, ottiene il lasciapassare e il 13 luglio 1939 salpa con la famiglia dal porto di Trieste a bordo del "Saturnia" diretto a New York. A 44 anni, gonfio di gloria in patria, deve ricominciare da zero in una terra straniera che non conosce e dove non è conosciuto. Non si perde d’animo e dopo aver soggiornato inutilmente a Larchmont, vicino a New York, si trasferisce a Beverly Hills, nella contea di Los Angeles, dove la nascente industria cinematografica di Hollywood lo ingaggia per comporre colonne sonore e per formare la prima scuola di composizione per giovani americani. Insegna, tra gli altri, a Henry Mancini, John Williams, André Previn, Jerry Goldsmith. La sua opera e la sua produzione sono raccontate con competenza e slancio narrativo in una recente biografia di Angelo Gilardino, Mario Castelnuovo-Tedesco, un fiorentino a Beverly Hills (edizioni Curci, 2018). Accanto alle colonne sonore che assicurarono a lui e alla sua famiglia un meritato benessere, continuò a comporre musica assoluta. Alla violenza dell’esilio e alla cattiveria umana, non rispose mai con risentimento e con rabbia, ma con la bellezza, la freschezza, l’ispirazione della sua arte. Oggi la sua musica, oltre 200 numeri d’opera per ogni organico e forma musicale, è presente nei cartelloni concertistici di tutto il mondo. Contro la brutalità, l’invidia sociale, il cieco desiderio di sopraffazione, ha vinto semplicemente la bellezza, la finezza d’animo, la musica.

 

 

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