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L’arte di arrangiarsi
di Silvia Consenzi

Il ruolo dell'arrangiatore è fondamentale nella musica leggera e nel jazz, ma ancora pochi ne riconoscono la figura professionale. Intrapredere la carriera di arrangiatore non è cosa da poco: ci vogliono solide basi di composizione e di orchestrazione e magari un diploma in strumento e una laurea in Storia della musica. È questa la via che ha portato al successo Antonio Capuano, 25 anni, di Campobasso, vincitore della seconda edizione del Premio Barzizza a Sanremo. Il chitarrista molisano ha convinto una giuria presieduta da Ennio Morricone e dal jazzista Enrico Intra. Ha vinto con un accativante arrangiamento di Donna, successo di Gorni Kramer degli anni Cinquanta reso celebre dal Quartetto Cetra. Che effetto fa essere premiato da una giuria di questo calibro? È stato un onore. Morricone è una figura di riferimento. Oltre a una grande capacità di scrittura classica e da film, Morricone parla al cuore e sa trasmettere emozioni. È un artigiano, e un artista, abilissimo, basti pensare alla complessità della colonna sonora di Canone inverso. Ha seguito qualche stile particolare? Mi sono ispirato a Nelson Riddle, il più celebre arrangiatore di Frank Sinatra. È un peccato che le orchestre degli anni Cinquanta non ci siano più; la Rai in Italia le ha chiuse tutte. Ma non si può scrivere solo per orchestra. Io lavoro spesso su commissione per cori spiritual e gospel, per formazioni di swing e di tango. Com’è nata la passione per la musica? Sono stato folgorato dalla chitarra a 8 anni. Mi sono diplomato al Conservatorio di Campobasso sotto la guida di Pasqualino Garzia. La passione per l'arrangiamento è nata poco dopo dall'ascolto di dischi, soprattutto Frank Sinatra e le sue orchestre. Sei un autodidatta? Ho preso lezioni di orchestrazione e ho seguito il famoso metodo americano di jazz Berklee per corrispondenza. È pratico e concreto. Lo studio italiano è ancora troppo accademico. Invece l'arte dell'arrangiamento va spesso contro le regole di armonia classica. Ma fondamentale è stato l'ascolto dei dischi: è così che si impara l'orchestrazione, con un lavoro di tipo artigianale. Ti definisci arrangiatore, compositore o chitarrista? Non sono un chitarrista concertista. Mi sento più a mio agio nella veste di arrangiatore. Non mi piace esibirmi con i riflettori puntati addosso. Suono ancora la chitarra, ma solo in ambito jazzistico. Che significato ha oggi un revival dello swing italiano degli anni Venti e Cinquanta? È un genere che bisognerebbe promuovere: le melodie sono meravigliose e di alto livello artistico. Ormai la gente ha nelle orecchie solo musica di basso consumo. Che importanza ha la figura di Pippo Barzizza in tutto questo? Fondamentale. È stato l'inventore in Italia delle orchestre ritmosinfoniche e il primo arrangiatore alla maniera americana. L'introduzione dello swing è stata una vera rivoluzione per la musica italiana. Altri punti di riferimento musicale? Il jazz è la mia vera passione: memorabili gli arrangiamenti di Gill Evans per Miles Davis e quelli di Sammy Nestico per Count Basie. A chi devi dire grazie? A Pasqualino Garzia, il mio maestro di chitarra. Gli devo parte della vittoria al Premio Barzizza. Mi ha insegnato ad essere aperto verso tutti i generi musicali. È un talento della didattica: un suo allievo, Flavio Sala, ha vinto lo scorso anno il prestigioso concorso "Pittaluga" di Alessandria. La musica contemporanea dove sta andando? Verso un progressivo crossover. Non ci sono più confini tra i generi. La nostra generazione ha il dovere di rivitalizzare il settore classico e di mettere un vestito nuovo alla cosiddetta "musica colta". Bisogna pensare a una musica universale, al di là delle etichette di "classica" e "leggera".

 

 

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