La definizione di "genere musicale", soprattutto negli ultimi decenni, ha creato problemi. Se fino a poco tempo fa sembrava la cosa più naturale del mondo parlare di musica "classica", oggi quell'aggettivo a molti sta diventando stretto. Classica ovviamente non rimanda al Classicismo, ovvero il periodo artistico che va dalla seconda metà del Settecento all'inizio dell'Ottocento, ma ricomprende tutta la musica colta, sacra e profana, dell'ultimo millennio. C'è voglia di inclusione, di considerare l'arte dei suoni una cosa sola e l'unica definizione politicamente corretta è parlare di musica bella e musica brutta. Naturalmente ognuno di noi assumerà di volta in volta il diritto di mettere i voti. E trovare un accordo unanime diventa un miraggio.
Parlare di "classica" è diventato improprio, restrittivo, elitario. Alcuni interpreti e studiosi hanno provato a proporre alternative: "musica d'arte", "musica forte" e altre locuzioni che, malgrado l'autorevolezza delle fonti, di fatto non sono mai entrate nel linguaggio comune.
A rimescolare ulteriormente le carte è arrivata l'ormai non più recente – risale al 1999 –, ma certo controversa, Riforma dei Conservatori, da sempre centri d'eccellenza dell'alta formazione musicale italiana, che ha accolto e inserito nei piani di studio ufficiali di Stato la musica pop e rock. La musica jazz in Conservatorio esisteva anche prima. E così oggi, prendendo l'esempio del canto, sono attive cattedre di Canto, Canto jazz, Canto Pop Rock e Canto rinascimentale e barocco. Il primo, in teoria, a questo punto dovrebbe chiamarsi Canto lirico o classico – giacché credo sia innegabile che cantare Verdi e Puccini sia altra cosa che intonare canzoni di Gigi D'Alessio e Madonna – ma godendo in Conservatorio della maggiore anzianità e forse, sottolineo forse, rivendicando una certa superiorità su tutti gli altri, si definisce solo "Canto". Ma certo che se a una festa incontri un giovane sconosciuto che ti dice di studiare canto credo venga spontaneo a chiunque chiedere che "genere" di corso stia frequentando.
Questo mese, allegato a Suonare news, c'è un bellissimo cd con 20 Canti popolari italiani trascritti e armonizzati per chitarra da Daniele Fabio. È un'antologia che presenta venti melodie immortali, da Bella ciao, passando per il canto alpino Il testamento del capitano, e poi, naturalmente, un campionario della stupefacente creatività partenopea, da Dicitencello vuje a 'O sole mio. Ad interpretare queste gemme italiane è il noto chitarrista bresciano Giulio Tampalini che i nostri lettori conoscono bene perché titolare di una rubrica fissa dedicata proprio alla chitarra.
Come ha scritto con sapienza e autorevolezza il noto compositore romano Giorgio Battistelli, nella prefazione del volume che allinea le partiture dei 20 Canti popolari italiani, «I brani affondano le loro radici nella tradizione più autentica e popolare; evocano realtà e mondi artistici antropologicamente “altri”. Ma questa è la magia dell’arte, della grande musica: essa è capace di sfumare le differenze; grazie alla sua forza comunicativa, la musica perviene a ridurre le distanze. Nel caso di questa pubblicazione, trasmette un messaggio federatore e crea una profonda ed essenziale trasversalità fra due prospettive apparentemente lontane: la ricerca etnomusicologica e quella della musicologia più tradizionale, sistematica e storica. I Canti popolari italiani rappresentano l’eredità musicale di diverse culture del nostro Paese. E tale mondo popolare viene sottilmente recuperato». Buon ascolto!
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